Quello dell’inclusione è un tema molto complesso e anche carico di contraddizioni; in non pochi casi, ci sono anche pratiche didattiche che, pur messe in atto con ottime intenzioni, risultano alla fine ben poco inclusive.
Una di queste è quasi certamente quella dell’aula di sostegno che non poche scuole allestiscono anche con una certa enfasi e con un significativo impiego di risorse economiche.
Ne parliamo con tre esperti della materia, per conoscere il loro parere.
“L’inclusione scolastica degli alunni e delle alunne con disabilità – afferma per esempio Evelina Chiocca, presidente del Coordinamento italiano insegnanti di sostegno – si realizza nelle classi comuni delle scuole di ogni ordine e grado: è quanto stabilisce la legge 104/92 all’art. 12 comma 2. Eppure, nonostante queste chiare indicazioni, nelle scuole italiane persiste la presenza di aule ‘destinate al sostegno’, ovvero riservate ai soli alunni con disabilità. E questo mette in evidenza come il processo inclusivo sia decisamente distante da quell’idea di compartecipazione di condivisione auspicato e promosso fin dagli albori”.
“Da sempre – aggiunge Chiocca – i pedagogisti stigmatizzano questi spazi che allontanano gli alunni con disabilità dalle loro classi e dai loro compagni e che ricordano, molto bene, le classi speciali o le classi differenziali, che sono state abrogate da circa cinquant’anni”.
“Le cosiddette ‘Aule H” presenti in diverse forme e quantità in molte scuole – sostiene Raffaele Iosa, ex ispettore tecnico e responsabile per molti anni dell’Osservatorio nazionale sull’handicap – sono segno di cattiva e finta inclusione. Questo non vuol dire che non si debba pensare a ‘spazi flessibili’ oltre le rigide aule frontali per svolgere attività laboratoriali, di piccoli gruppi, di relax”.
“Però – sottolinea ancora Iosa – il valore di questi spazi sta se mantengono caratteri di comunità, utili per tutti, magari angoli interni ed esterni anche scelti dagli alunni stessi; diventano invece un ghetto isolante se sono spazi chiusi con il solo alunno con disabilità e il solo insegnante di sostegno, magari per molte ore al giorno. L’assenza di relazioni tra pari non é scuola, ma un parcheggio isolante dannoso per tutti”.
E a chi fa osservare che talora l’”aula H” viene creata proprio per offrire agli alunni con disabilità uno spazio più adeguato, Iosa risponde: “Si tratta di comode soluzioni messe in atto quando non c’è un progetto pedagogico vero; anzi in alcuni casi rappresenta una paradossale offerta di ‘aiuto’ perché lì verrebbero protetti. Insomma, aule H quasi come gli antichi manicomi pre legge-Basaglia”.
“In questa fase – afferma per parte sua Marisa Faloppa, del Comitato torinese per l’integrazione – dobbiamo diffondere strategie che sostengano l’integrazione con i compagni di classe. Le aule di sostegno non ci sembrano per nulla utili; ancora più sbagliata è la pratica di delegarne la gestione agli insegnanti di sostegno e riservarne l’accesso agli allievi disabili”.
“Senza dimenticare – conclude Faloppa – un aspetto importantissimo: le indicazioni delle Linee Guida del 2009 secondo ‘è contraria alle disposizioni della Legge 104/92 la costituzione di laboratori che accolgano più alunni con disabilità per quote orarie anche minime e per prolungati e reiterati periodi dell’anno scolastico’ sono tuttora valide e vanno rispettate”.
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