Mi chiedo, a volte, se anch’io, nella mia giovinezza di studente non fossi afflitto da disturbi dell’apprendimento e se, con un adeguato intervento da parte di specialisti, non fossi riuscito a scoprire capacità e abilità che avevo ma mai erano emerse, per ottenere poi, nella vita professionale (non l’insegnamento) risultati migliori e altamente apprezzabili.
Allo stesso modo sorge spontanea la domanda. Quanti alunni fragili ho avuto, nella mia più che trentennale carriera di docente, della cui debolezza non mi sono per nulla accorto, con la conseguenza di un’interrelazione e un dialogo educativo se non sbagliato non del tutto appropriato?
Molti forse. Un tale pensiero non può che far nascere in me rimorsi e sensi di colpa (avrei potuto fare molto di più per loro), anche se, a mia parziale discolpa, bisogna ammettere che, in quei tempi lontani (direi preistorici), tutta la società non aveva piena contezza delle possibili difficoltà di ascolto e studio dei ragazzi e veniva garantita una certa assistenza solo agli allievi chiaramente ‘disabili’ (o diversamente abili).
Da allora molte cose sono mutate. Le scienze umane, pian piano, hanno individuato tutta una lunga serie di disturbi specifici e aspecifici dell’apprendimento (che ormai tutti conosciamo, almeno, ne abbiamo sentito parlare) e di nuove disabilità e, subito, sono stati elaborati e messi in campo tutti i rimedi possibili perché i ragazzi affetti da tali ‘anomalie’ nell’apprendere potessero, con l’aiuto di insegnanti ben ‘preparati’ per tali situazioni ‘particolari’ (insegnanti di sostegno e di inclusione coadiuvati da psicologi e psicanalisti), risolvere totalmente (o almeno in parte) i loro problemi e riuscire ad integrarsi nel processo formativo, esattamente come i loro compagni ed insieme a loro.
Tutto bene quindi. Forse.
Certo è che in questi ultimi anni le certificazioni relative ad allievi affetti da tali disturbi sono cresciuti in maniera vertiginosa e qualche esperto dell’educazione si è fatto qualche domanda o semplicemente ha ipotizzato un’ipertrofia non giustificata in tutti queste presunte fragilità.
Si è notato, infatti, come questi disturbi dell’apprendimento e disabilità hanno conosciuto un incremento del 39%. Un vero boom.
I più maliziosi si sono chiesti se tali certificazioni ‘facili’ siano vere, sbagliate (“Tre diagnosi su quattro potrebbero essere sbagliate”) o derivino da un eccesso di buonismo da parte dei medici.
Altri hanno puntato il dito sulle famiglie (e ciò non mi trova in disaccordo poco propense a dedicare tempo ai figli per una valida educazione, e maggiormente ‘desiderose’, quasi, di individuare nei loro pargoli qualche impedimento, anche minimo, nell’apprendimento, onde ottenere aiuti e supporti didattici da parte della scuola, ma soprattutto, la facile promozione (a pensare male si fa peccato… lo so).
Certo, in questo anche le scuole, spesso, ci mettono del loro e scambiano (o vogliono scambiare) una normale distrazione o una poca attitudine allo studio con seri disturbi di concentrazione
Si innesca così un dialogo con le famiglie che porta ad eccessi diagnostici, piani di studi personalizzati o individualizzati e promozioni agevolate.
Inoltre, mettere in evidenza, in modo inappropriato, problemi che non esistono che, pur esistendo non hanno rilevanza patologica, potrebbe avere una ripercussione negativa sui ragazzi, rendendoli più incerti e privandoli di un corretto e ‘normale’ percorso educativo.
Probabilmente, per varie ragioni, i casi di ragazzi con problemi di apprendimento e disabilità sono aumentati, ma forse non in misura così ampia come sembrano evidenziare le statistiche.
Oppure è proprio così.
D’altronde anche i ‘disturbi’ o ‘malumori’ dei docenti sono in crescita vistosa (avranno bisogno i ‘sostegno’?). Ma questa è un’altra storia.
O no?
Andrea Ceriani
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