Andrea Gavosto, presidente della Fondazione Agnelli, scrive un articolo sui meccanismi di assunzione e formazione dei docenti perché l’attuale sistema – basato su concorsi, di fatto da 20 anni poco regolari nel tempo, e su graduatorie a esaurimento – è ormai fallimentare.
La sua opinione è sul Sole 24 Ore dove scrive ancora: “In ogni area del Paese non si trovano i docenti da mettere in ruolo in materie fondamentali (scientifiche, ma non solo); al tempo stesso, sono ormai quasi 200 mila i supplenti annuali”, mentre i governi intervengono con soluzione tampone poco efficaci.”
Per evitare “un ulteriore degrado qualitativo, occorrerebbe un meccanismo di accesso continuo alla professione con una valutazione severa delle competenze e una voce in capitolo dei singoli istituti nella scelta di chi serve loro davvero”.
Per Gavosto buona sarebbe la proposta del sottosegretario all’Istruzione, Lucia Azzolina che “ha il merito di reintrodurre il fondamentale principio che, per diventare insegnante, occorre soddisfare standard professionali elevati. Inoltre, abilitazione e assunzione in ruolo vanno considerati due passaggi distinti: per potere insegnare tutti devono essere abilitati, ma ciò non dà – come è stato per molti decenni – diritto all’assunzione, che dipende dai bisogni delle scuole”.
Ma secondo Gavosto la proposta di Azzolina ha un altro merito: la struttura del corso di laurea abilitante che “si ispira a un concetto semplice, perfino ovvio, ma spesso ignorato: sapere bene una materia non significa saperla insegnare. Così, dopo una triennale di preparazione disciplinare, la proposta è una laurea magistrale che si concentri sulla formazione pedagogica e didattica, come pure sulle capacità di lavorare in squadra con gli altri colleghi e relazionarsi con efficacia con i ragazzi. È positivo che – come Azzolina sembra pensare – il percorso preveda anche, come in molti altri paesi europei, fasi di tirocinio in vere classi scolastiche, prima del conseguimento della laurea”.
E tutto questo, specifica Gavosto, mentre il calo demografico è preocupante: entro il 2030, in Italia ci saranno 1.100.000 studenti in meno. A regole invariate, dunque, meno classi e meno insegnanti. È prevedibile che il flusso di giovani docenti neoassunti non sarà così importante; dovremo, semmai, fare funzionare al meglio la scuola con i docenti che già ci sono, offrendo loro e pretendendo da loro una costante manutenzione della qualità di insegnamento. La questione in gioco qui è certo di contenuti, ma anche giuridica: la formazione in servizio deve essere obbligatoria.
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