Fa scalpore la storia di Pierdonato Zito, oggi 63enne e con più di 30 anni trascorsi all’interno di istituti penitenziari, dei quali 8 in isolamento, che è riuscito qualche settimana fa a laurearsi in Scienze Sociali con 110 e lode; oggi Zito vive a Succivo, in provincia di Caserta, ed è impiegato come volontario nel settore politiche sociali del Comune, in esecuzione penale esterna in regime di semilibertà.
“Lo studio”, ha detto dopo la discussione della tesi, il neo dottor Zito, “mi ha aiutato come persona ad uscire dall’abisso, ma da solo non basta. Vorrei che la mia storia potesse aiutare anche altri”.
Sono circa 55.000 i detenuti negli istituti di pena italiani, di questi meno del 5% sono donne e circa diciassettemila gli stranieri, a fronte di una capienza regolamentare di 50.900 posti, con un tasso di affollamento ufficiale del 107,7%.
L’art. 27 comma 3 della Costituzione stabilisce che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato e non può concretizzarsi in trattamenti inumani o degradanti. A sua volta l’art.15 della legge 354/1975 individua nell’istruzione, nella formazione professionale, nel lavoro, in progetti di pubblica utilità, nella religione e nella partecipazione sociale le basi su cui procedere per la rieducazione del condannato.
L’istruzione si presenta come l’elemento primario per la rieducazione sociale e il percorso scolastico, almeno sulla carta, parte dalla scuola primaria a arriva fino all’Università, fornendo così ai detenuti un’ampia scelta di studio.
L’importanza della scuola come elemento di trattamento non è una scoperta italiana: già nel 1955, il durante il Primo congresso sulla prevenzione del crimine sul trattamento dei condannati dell’ONU erano state prodotte le “Standard Minimum Rules for the Treatment of Prisoners”; oggi si contano 122 regole che stabiliscono standard di trattamento da assicurare a tutti i detenuti degli Stati firmatari, considerando la loro posizione giuridica e i loro diritti inalienabili alla dignità e all’integrità umana.
In Italia nell’anno scolastico 2019-20 il tasso di studenti detenuti si aggirava intorno al 33,4% e si registravano circa 500 iscritti ai Poli Universitari Penitenziari (PUP), nati da protocolli di intesa tra le Università e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria o i Provveditorati Regionali. Le Università sono accessibili a pochi detenuti, sono infatti attivi 75 PUP su 192 istituti – e sono pochi i detenuti con il diploma superiore.
Il Polo campano, dove ha studiato il primo laureato proveniente dall’istruzione carceraria, ha coinvolto 8 Dipartimenti, con oltre 100 docenti a semestre che vi insegnano e 19 tutor tra studenti e dottorandi impegnati nel progetto; è nato grazie a un progetto di collaborazione tra l’Università degli Studi di Napoli Federico II e il Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria della Campania. Oggi è il primo PUP del Meridione d’Italia, al quale sono iscritti anche il più alto numero di detenuti, nonché di maggiori corsi erogati, tanto da attivare anche il primo tirocinio interno all’istituto.
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