Nel mese di febbraio 2021 sono stati pubblicati i dati di Eurostat (Statistics | Eurostat (europa.eu)), secondo i quali al momento l’Italia si colloca al terzultimo posto tra i paesi europei per numero di laureati che hanno trovato lavoro a tre anni dalla conclusione degli studi universitari. In coda, subito dopo l’Italia, in una graduatoria che vede presenti tutti i 27 paesi dell’Unione Europea, oltre a quelli delle aree geografiche confinanti ma non formalmente dell’Unione, si trovano la Macedonia del Nord e la Turchia, non ancora membri dell’UE. Sembra che a livello nazionale ad accedere ad un posto di lavoro sia il 58,7%, percentuale negativa in crescita dal 2021, quindi un italiano su due con titolo accademico.
Scarso investimento e fuga all’estero di laureati e ricercatori
L’indagine lascia aperte le porte alle discussioni e alle motivazioni che si celano dietro a questi dati così pesanti, tali da far pensare che prendere una laurea abbia sempre meno senso. In alcune discipline, per esempio soprattutto quelle umanistiche i laureati hanno dovuto ripiegare su forme di lavoro sottopagate e comunque lontane dalla loro formazione, svolgendo compiti e mansioni che avrebbero putto eseguire senza la laurea. Tra le ragioni si possono individuare lo scarso investimento del Pil per l’innovazione, che mette l’Italia con il suo 1,39% di nuovo agli ultimi posti in Europa, il 15° tra i paesi più importanti, dato, ancora una volta reso noto da Eurostat nel 2020 sul sito della Camera. L’indagine racconta anche quanto bassa sia la percentuale di ricercatori rispetto a persone occupate attive nelle imprese, per cui solo due laureati su 100 sono assunti per svolgere ricerca, poiché le aziende stesse non hanno risorse per promuoverla, inoltre non hanno relazioni stabili con le università, se non con poche eccezioni. Il dato tragicamente noto che consegue da tutto ciò è l’esodo verso l’estero, che negli ultimi cinque anni ha visto emigrare più di 200.000 giovani italiani.
Apprendistato di alta formazione
D’altra parte, la legge non aiuta le aziende ad assumere giovani laureati, infatti l’apprendistato di alta formazione e ricerca, per esempio, è un contratto che permette ai giovani di essere assunti dalle aziende, sviluppando al tempo stesso un progetto di ricerca in collaborazione con le università. Secondo una ricerca del giugno 2019 dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (Inapp) il numero di apprendisti assunti in questo modo non raggiunge le mille unità sull’intero territorio nazionale. Per chi non emigra, in particolare nell’ultimo anno di pandemia, le proposte di occupazione sono quasi sempre di bassa specializzazione e più di 7 assunzioni su 10 sono relative a contratti di lavoro a tempo determinato con una durata molto breve, spesso inferiore a tre mesi.
E se si fa riferimento ad uno studio del Ministero del Lavoro, pubblicato nella primavera del 2020, relativo ai percettori del reddito di cittadinanza, emerge che il 61,6% dei beneficiari ha utilizzato nella ricerca di un impiego canali informali come amici, parenti e conoscenti, confermato di nuovo da Eurostat, secondo cui in Italia e Spagna è più del 60% ad aver trovato lavoro in questo modo, contro il 40 di Germania e Svezia. Dato rilevante, quest’ultimo, se si pensa che per le posizioni di lavoro prestigiose e qualificate, tale percentuale aumenta, mentre competenze e titoli di studio dovrebbero essere il metro di giudizio prioritario.