La fuga dei cervelli dell’Italia non è un luogo comune, ma un fenomeno in sensibile crescita: a dirlo è la Corte dei Conti, che attraverso il ‘Rapporto sul sistema universitario 2021’ parla di preoccupante ascesa. Tra il 2013 e il 2021 sono stati tantissimi i nostri neo-laureati a lasciare l’Italia: diverse migliaia, con il fenomeno cresciuto del 41,8%.
Quali difficoltà
Poi, lo stesso organismo ha confermato che molti giovani preferiscono non portare a compimento gli studi universitari: una decisione che si intraprende per le “persistenti difficoltà di entrata nel mercato del lavoro”, ma anche perché “la laurea non offre, come in area Ocse, possibilità d’impiego maggiori rispetto a quelle di chi ha un livello di istruzione inferiore”.
I dubbi delle famiglie
Uno dei punti dolenti dell’abbandono dell’istruzione universitaria riguarda i giovani provenienti da famiglie con redditi bassi: ebbene, i magistrati contabili scrivono che incidono non poco “fattori culturali e sociali”, ma anche il fatto che “la spesa per gli studi ‘terziari’, caratterizzata da tasse di iscrizione più elevate rispetto a molti altri Paesi europei, grava quasi per intero sulle famiglie, vista la carenza delle forme di esonero dalle tasse o di prestiti o, comunque, di aiuto economico per gli studenti meritevoli meno abbienti”.
I dubbi della ministra Messa
Quella delle tasse troppo alte, tuttavia, è una condizione che non trova d’accordo la ministra dell’Università Cristina Messa: ai nostri microfoni, qualche giorno fa ha detto che “se il dato complessivo ha portato una riduzione, quello locale non ha portato riduzione, come in Lombardia, nonostante le tasse. Bisogna comunque investire in questo senso – ha sottolineato la ministra -, sia per la riduzione delle tasse per chi è al di sotto di un certo Isee ed anche con un incremento delle borse di studio”.
Per questa ragione, la Corte dei Conti auspica che si possa mettere mano quanto prima a “un’opera di aggiornamento e completamento dell’attuale normativa per dare piena attuazione alla disciplina del diritto allo studio con la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) e l’attivazione degli strumenti per l’incentivazione e la valorizzazione del merito studentesco”.
Bassi investimenti
Un altro dei punti dolenti è quello dei mancati investimenti: “nel periodo 2016-2019 l’investimento pubblico nella ricerca appare ancora sotto la media europea”.
“Mentre le attività di programmazione, finanziamento ed esecuzione delle ricerche si sono contraddistinte per “complessità delle procedure seguite, la duplicazione di organismi di supporto, nonché per una non sufficiente chiarezza sui criteri di nomina dei rappresentanti accademici, tenuto conto della garanzia costituzionale di autonomia e indipendenza di cui all’art. 33 della Costituzione”.
Cosa c’è da sviluppare
Tra gli ambiti “ancora poco sviluppati” figurano i programmi di istruzione e formazione professionale, le lauree professionalizzanti in edilizia e ambiente, energia e trasporti e ingegneria.
In assoluto, infine, “mancano i laureati in discipline Stem (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) e questo incide negativamente sul tasso di occupazione”: tra i docenti proprio questi laureati avranno la precedenza assoluta nello svolgimento del concorso a cattedra che, secondo il Decreto Legge Sostegni Bis, dovrebbe portare in ruolo oltre 6 mila vincitori in corrispondenza con l’avvio del prossimo anno scolastico.