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Laureati, pochi e sempre più “atipici”

In Italia la media di laureati rimane ancora bassa, ma ad un anno dalla laurea solo il 54,5% trova lavoro: per questo aumentano i neo-dottori che accettano forme di lavoro “atipico” (quattro su dieci), impieghi privi di qualsiasi tipo di contratto (sette su cento) o che continuano a studiare. Per questi motivi servirebbe un riconoscimento di agevolazioni per l’assunzione dei laureati. A sostenerlo è l’ottava indagine realizzata dal Consorzio Almalaurea sulla Condizione occupazionale dei laureati, quest’anno incentrata sul profilo dei circa diecimila studenti che hanno conseguito per la prima volta la laurea “breve” a seguito della riforma dei percorsi universitari. L’indagine, presentata il 23 febbraio a Roma, presso l’università “La Sapienza” durante il convegno Dall’università al lavoro, è stata svolta tra settembre e novembre 2005: ha coinvolto 36 università ed oltre 74mila studenti laureati negli anni 2004, 2002 e 2000. Ne è uscito un interessante spaccato sullo stato occupazionale, sempre più complicato, dei giovani che in Italia hanno investito nello studio: “Per la prima volta – fanno sapere dal Consorzio – è stato possibile esaminare la condizione occupazionale e di studio dei laureati di primo livello (quasi 10mila, con un tasso di risposta all’intervista pari al 90 per cento) ad un anno dal conseguimento del titolo, monitorando così lo stato di avanzamento della riforma universitaria”. Ebbene, ad acquisire la laurea breve sono in prevalenza giovani residenti al Nord (50%) con preferenze per facoltà politico-sociali (17%) e di ingegneria (14,3%). Sebbene il titolo triennale sia spendibile sul mercato, la maggior parte (il 90%) decide di continuare sino al conseguimento della laurea tradizionale.
Quella di continuare non sarebbe affatto una scelta del tutto volontaria, ma forzata: secondo Almalaurea, tra il 2003 e il 2004, fra i laureati si è infatti registrato un ulteriore calo dello 0,5% dell’occupazione. Il problema non sembra tuttavia essere quello loro “ingresso nel mondo del lavoro – si legge nel rapporto finale del Consorzio – quanto piuttosto il numero ridotto”. L’Italia, rispetto al contesto internazionale, dove pure si è fatta sentire la crisi delle vocazioni scientifiche, sconta un ritardo sul numero di laureati già formati e pronti per essere inseriti nel circuito lavorativo: 10 su 100 abitanti di età compresa fra 25 e 64 anni, in Italia, contro i 24 della media Ocse. E fra i “giovani” (25-34 anni) il nostro Paese è ultimo, sopravanzato anche da Grecia, Ungheria e Portogallo, fra i paesi membri. “La questione di fondo – fa sapere Almalaurea – piuttosto che l’occupazione dei laureati attuali, sembra riguardare quella della loro occupabilità il giorno in cui fossero accresciuti di un numero tale da non essere più assorbiti in un sistema produttivo, come quello italiano, che continua a investire poco in ricerca e in innovazione”.
Secondo Andrea Cammelli, direttore di Almalaurea per uscire da questo empasse è allora indispensabile “raccogliere la sfida a livello internazionale, accettare la competizione su ricerca e innovazione, valorizzare l’economia della conoscenza: tutto ciò – continua Cammelli – sembra ancora, in gran parte, uno scenario molto, molto distante”. Ecco allora che il Consorzio lancia una proposta: “Alla luce delle difficoltà del sistema paese di valorizzare il capitale umano formato dall’università – conclude il direttore – si chiede il riconoscimento di agevolazioni per l’assunzione dei laureati. Un’azione a sostegno dei giovani e delle imprese, soprattutto medio-piccole, in difficoltà a gestire ricerca, innovazione e internazionalizzazione”.
Dai risultati emersi risulta che a trovare lavoro “fisso” sono in prevalenza medici e i laureati nell’area economico-statistica. Le donne però, anche in questi settori e soprattutto al Sud, continuano ad avere più problemi: in media, dopo un anno dal titolo solo il 40 per cento delle laureate ha un contratto a tempo indeterminato a svolge un lavoro autonomo. Ad avere più difficoltà di inserimento risultano i “dottori” provenienti da Facoiltà geo-biologiche, letterarie e psicologiche.
A proposito dell’inquadramento, i contratti atipici risultano in deciso aumento: dal 1999 a oggi sono cresciuti di dieci punti percentuali. Ancora più preoccupante, però, la tendenza che vede i laureati essere collocati in un ambiente di lavoro senza alcun tipo di contratto: dal 2000 al 2004 si è passati dal 3,7 al 7,1%.
Alessandro Giuliani

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