Laureati ‘poveri’, ai traduttori mille euro al mese
Laurearsi per fare il traduttore non sembra essere un lavoro auspicabile: in base ad una ricerca appena pubblicata dalla Slc-Cgil, i traduttori editoriali guadagnano nella grande maggioranza dei casi meno di 15.000 euro l’anno. E non hanno alcuna prospettiva di carriera.
Il 59,3% di coloro che traducono i nuovi testi che leggiamo dichiara di percepire una retribuzione lorda annuale inferiore ai 15.000 euro. Per il 16% va ancora peggio: addirittura meno di 5.000 euro. Mentre il 19% ha detto di poter contare su un reddito lordo annuale compreso tra 15.000 e 20.000 euro. Poco più di un decimo del campione si colloca nella fascia di reddito 20-30.000 euro e solo tre intervistati su cento hanno una retribuzione superiore ai 30.000 euro annui. E per le donne (l’81% dei traduttori) la condizione è ancora più difficile con il 64,4% che prende meno di 15.000 euro lordi l’anno.
Per poter sopravvivere – sottolinea la ricerca – il 54,8% dei traduttori dichiara di svolgere almeno un altro lavoro. Il 18,6% ha dovuto accettare di lavorare in nero e l’84% non vede nessuna prospettiva di sviluppo di carriera. I traduttori oltre naturalmente a conoscere perfettamente una o più lingue straniere hanno nella stragrande maggioranza alti livelli di istruzione. Oltre il 91% ha almeno la laurea ma uno su tre, ha titoli post-laurea come Master e dottorato di ricerca. Tra tutti i lavoratori italiani solo il 18,7% ha questi livelli di istruzione. Il lavoro del traduttore è caratterizzato da ritmi di lavoro serrati, scadenze prefissate e poco flessibili che portano spesso al superamento della soglia delle 40 ore lavorative settimanali (76,6%). Ma quando descrivono il proprio lavoro, tra i traduttori prevale la risposta: è un “mezzo per realizzare te stesso”. “L’amore per il proprio lavoro può diventare una spinta per cambiarne le condizioni – afferma Elena Lattuada, segretaria confederale Cgil – . A questa spinta noi dobbiamo rispondere includendo nella nostra azione sindacale e contrattuale anche le realtà professionali meno tutelate e riconosciute come i traduttori per garantire loro un sistema universale di tutele sociali”.
Secondo Massimo Cestaro, segretario generale Slc Cgil, “il nostro Paese non riconosce il valore della conoscenza e condanna intere generazioni e professionisti a lavorare in condizioni inaccettabili. Così si impoverisce il mondo dell’ editoria italiana e si allontanano saperi, competenze e capacità”.
Una considerazione purtroppo vera. Che vale, tra l’altro, anche per altre professioni di alta specializzazione. E svolte al termine di lunghi e impegnativi studi.