Solo un laureato italiano ogni cinque parla e scrive in inglese. A riferirlo è il consorzio universitario AlmaLaurea, che è andata ad analizzare la propria banca dati, composta da un milione e 800 mila studenti usciti da 64 atenei, nell’ambito del progetto ‘Istruzione superiore europea nel mondo’, lanciato dalla Commissione Ue per far sì che i laureati europei acquisiscano le competenze internazionali per lavorare in qualsiasi parte del mondo.
Dall’analisi dei dati fornita da consorzio accademico risulta che il 21% dei laureati nel nostro Paese conosce l’inglese fluentemente. Solo se si estende la conoscenza della lingua d’Oltremanica a un livello buono-intermedio (piuttosto che ottimo-fluente) si arriva al 60%.
Il resoconto è allargato anche alle altre lingue. Il 20% dei laureati parla il francese a livello buono-intermedio, l’11% lo spagnolo e il 4,5% il tedesco, sempre in modo buono-intermedio. Il portoghese è la dote di 25.000 laureati, il russo di 17.000, l’arabo di 12.000, il cinese di 11.000, il giapponese di 8.000.
Inoltre, l’indagine ‘Language knowledge in Europe’, realizzata nel 2011, conferma che l’Italia è uno dei paesi membri dell’Unione Europea in cui la conoscenza delle lingue straniere è più bassa. Con il 12,4% che parla inglese, si colloca dopo Germania (29,8%), Austria (40,5%), Francia (22,9%), Spagna (11,3%). Non c’è differenza, dicono una serie d’indagini, fra settore pubblico e privato: il 71,3-71,4% dice di non saper parlare in inglese al telefono. La percentuale sale al 64,4% in imprese con più di 250 dipendenti.
Complicato in Italia il percorso dei laureati in Lingue straniere: i laureati specialistici a cinque anni dal titolo lavorano, secondo AlmaLaurea, per il 27% nell’istruzione (la scuola è il ramo prevalente), 12% nel commercio, l’8% attività di consulenza. Sono tre rami dove le retribuzioni sono inferiori alla media, in particolare per il settore scolastico. Ma questa, purtroppo, non è una novità.