Attualità

L’Australia e la Nuova Zelanda di James Cook: alla scoperta del mondo

Il 29 aprile del 1770 l’esploratore James Cook scopriva Botany Bay in Australia, dove poco dopo sorse Sidney, e così oggi ripercorriamo la storia di questi viaggi.

Figlio di un bracciante scozzese, il giovane James mostrò subito ottime doti e una grande passione per la navigazione, scalando rapidamente le gerarchie della marina mercantile. Si arruolò volontario nella Royal Navy e prese parte alla guerra dei Sette anni. Qui mise in mostra tutte le sue doti, compresa quella di cartografo e attirò l’attenzione della celebre Royal Society, una delle più importanti istituzioni scientifiche al mondo.

Così il governo inglese nel 1768 lo mise al comando di una spedizione scientifica e successivamente di altre due. Le tre spedizioni dirette da Cook svelarono una parte del nostro pianeta che era ancora avvolta dal mistero, contribuirono a cambiarne la percezione e posero le basi per le ricerche scientifiche più importanti del secolo successivo.

Questi viaggi avevano obiettivi ben precisi: il primo era finalizzato all’osservazione del transito di Venere davanti al Sole; il secondo a scoprire la celebre Terra Australis, un continente all’estremo sud del globo la cui esistenza era stata ipotizzata da secoli; il terzo doveva invece individuare il famigerato passaggio a Nord-Ovest che avrebbe permesso di raggiungere il Pacifico attraverso l’Arcipelago artico canadese.

Nonostante la bravura di Cook e del suo equipaggio, queste tre spedizioni non riuscirono nel loro obiettivo principale, tuttavia portarono a ingenti scoperte e favorirono ulteriori esplorazioni. Oltre ad aver individuato e mappato con incredibile precisione territori preziosi e vasti, come ad esempio la Nuova Zelanda e l’Australia, i viaggi di Cook ospitarono grandi scienziati che  documentarono piante, animali e luoghi sino ad allora sconosciuti. Riportarono in Europa ricche collezioni etnografiche e rivelarono l’esistenza di popolazioni e culture ignote.

Tutto ciò fu possibile grazie all’attenzione che Cook ripose nella scienza dell’epoca, avvalendosi di prodigiosi ritrovati. Ad esempio: la scarsa precisione delle cartine antiche era data da un errore nella misurazione delle longitudine che per essere correttamente dedotta richiedeva orologi precisi. Quelli a pendolo infatti subivano le sollecitazioni della navigazione e rovinavano il lavoro dei cartografi.

Cook invece utilizzò gli orologi inventati da John Harrison e migliorati dai più bravi orologiai inglesi dell’epoca: strumenti in grado di resistere alle oscillazioni che resero impeccabile il suo lavoro. Con la stessa perizia fu tra i primi ad applicare le scoperte del medico inglese James Lind che aveva capito che lo scorbuto, il male dei marinai, poteva essere sconfitto con alimenti che oggi sappiamo essere ricchi di vitamina C. Nei suoi lunghi viaggi Cook fece in modo che i suoi uomini mangiassero crauti e agrumi e così salvò equipaggio e navi.

James Cook moriva nel 1779, durante il suo terzo viaggio, in un violento scontro con gli hawaiani in circostanze poco chiare, ma le sue imprese hanno ancora tanto da insegnarci. La loro storia è una metafora della ricerca scientifica: ogni esplorazione è possibile grazie al sapere accumulato in precedenza; non sempre viene raggiunto l’obiettivo principale, ma ogni viaggio porta con sé nuove conoscenze e domande, porta dunque a un progresso culturale straordinario. La ricerca scientifica è una forma di esplorazione del mondo senza la quale i nostri confini mentali rimarrebbero angusti e confusi, un po’ come il mondo prima dei viaggi di Cook.

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Dario De Santis

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