Il tentativo del Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie di accelerare il progetto di regionalizzazione, presentando un disegno di legge, poi derubricato ad appunti, ha subito un vero e proprio stop dalla Presidenza del Consiglio ritenendo che non può precedere gli altri due obiettivi di riforma istituzionale del centrodestra, il semipresidenzialismo e i poteri speciali per Roma. Ma la vera novità è che, nel disegno di Legge di Bilancio 2023, è stato inserito un articolo sui LEP (Livelli essenziali delle prestazioni). La definizione dei LEP verrebbe affidata a una cabina di regia interministeriale che avrà tempo 6 mesi per individuarli e 6 mesi per approvarli con decreto della Presidenza del Consiglio, con il Ministro per le Autonomie nel ruolo di guida e con la presenza, tra gli altri, del Ministro dell’Economia e del Presidente della Conferenza Stato-Regioni, tutti in quota Lega.
Se entro un anno i LEP non venissero definiti sarà nominato un Commissario senza mai che il Parlamento intervenga per discutere nel merito. La prima segnalazione, dell’inserimento dell’attuazione dei LEP nella Legge di Bilancio in assenza di risorse, è giunta dallo Svimez. Luca Bianchi, direttore dello Svimez, consegnando alla Commissione Bilancio della Camera una memoria, ha segnalato il pericolo “della mancanza di riequilibrio dei divari territoriali”.
Sulla bozza Calderoli le critiche più accese vengono anche da Paolo Maddalena, Vice Presidente Emerito della Corte costituzionale, dal Dipartimento Affari Legislativi della Presidenza del Consiglio e dall’Ufficio parlamentare di Bilancio che ha evidenziato, tra l’altro, la necessità del rispetto del principio di uguaglianza, di perequazione e di solidarietà nazionale. Basterà il monito del presidente Mattarella che, all’assemblea nazionale dell’Anci a Bergamo, ha posto l’accento su temi ineludibili come diritti sociali e civili ed esigenze perequative? Se passasse questo disegno di legge, all’erario sarebbero sottratte ingenti somme di denaro.
Qualche esempio: il Veneto ha chiesto di trattenere il 90 % del gettito fiscale sottraendo così alle casse dello Stato circa 41 miliardi l’anno, mentre per la Lombardia la perdita per l’erario sarebbe di oltre 100 miliardi di euro. L’Emilia Romagna tratterrebbe 43 miliardi di euro. Relativamente a queste tre regioni, si registrerebbe una perdita totale per l’erario di 190 su 750 miliardi annui di gettito fiscale. Il rischio del processo separatista si avrebbe proprio con la regionalizzazione della scuola nonostante l’ammonimento della Commissione di giuristi, presieduta dal compianto prof. Caravita che, nella relazione consegnata ai deputati e senatori delle Bicamerali del Federalismo fiscale e delle Regioni, avverte “che sia preferibile espungere in questa prima fase la materia dell’istruzione, il cui trasferimento porrebbe problemi politici, sindacali, finanziari, quasi insormontabili”.
L’istruzione, infatti, è anche la voce più rilevante dal punto di vista finanziario: circa 5 miliardi di euro in Lombardia e poco meno di 3 miliardi in Veneto con la conseguenza che migliaia di docenti transiterebbero nei ruoli regionali con effetti sulla contrattazione e possibili differenziazioni salariali. Dunque, l’autonomia regionale differenziata porterebbe alla frantumazione del sistema unitario di istruzione, minando nel contempo alla radice l’uguaglianza dei diritti, il diritto all’istruzione e la libertà di insegnamento (Cost. artt. 3, 33 e 34), e subordinerebbe l’organizzazione scolastica alle scelte politiche, prima ancora che economiche, condizionando localmente gli organi collegiali. Tutte le materie che riguardano la scuola, oggi di competenza esclusiva dello Stato o ripartita tra Stato e Regioni, passerebbero alla competenza esclusiva delle Regioni, con il conseguente trasferimento delle risorse umane e finanziarie: la legge dello Stato non potrebbe più intervenire.
Anche i percorsi PCTO, di istruzione degli adulti e l’istruzione tecnica superiore sarebbero decisi a livello territoriale, con progetti sempre più legati alle esigenze produttive locali, così come sarebbero decisi a livelli territoriale gli indicatori per la valutazione degli studenti. Anche le procedure concorsuali avrebbero ruolo regionale e più difficili diventerebbero i trasferimenti interregionali. Cosa resterà della contrattazione nazionale? Sarebbe destinato a mantenere una residuale funzione di cornice introducendo una versione regionale delle “gabbie salariali”, con i salari di alcune aree del nord che cresceranno, o resteranno stabili, e quelli del centro-sud che diminuiranno. Per tutte queste ragioni, i COBAS, congiuntamente con il Comitato Nazionale per il ritiro di ogni autonomia differenziata, parteciperanno alla manifestazione che si terrà a Roma, il prossimo 21 dicembre, dalle 16.00, a piazza del Pantheon, rigettando un disegno di legge, le cui decisioni negherebbero il principio di eguaglianza formale e sostanziale prevista dall’articolo 3 della Costituzione, frammentando l’assetto istituzionale del Paese e aumentando le distanze tra il Nord e il Sud, le disuguaglianze sociali, la disparità dei diritti e chiedendo l’applicazione effettiva del principio di perequazione, di solidarietà e coesione nazionale.
Carmen D’Anzi Esecutivo nazionale COBAS Scuola
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