Riflettere oggi sulla Legge 107, la cosiddetta ‘Buona Scuola’, significa necessariamente ripercorre un lungo cammino. Un cammino che ha inizio quasi 20 anni fa e si è mosso sempre sullo stesso filo conduttore: riforma dopo riforma, governo dopo governo, ha trasformato profondamente forma e funzione dell’istituzione scolastica in Italia. Se ne parlerà la mattina del 22 febbraio nell’aula Magna del liceo Classico “Torquato Tasso” di Roma, nel corso del convegno “20 anni di autonomia scolastica, dalla Legge 59/1997 alla Legge 107/2018: cosa è successo alla scuola in Italia?”, organizzato dal Comitato nazionale “Per la Scuola della Repubblica”.
Durante l’evento, valido per il corpo docente come formazione riconosciuta dal Miur e quindi utile anche come “monte” orario annuale individuale di ogni insegnante, si partirà proprio dalla Legge sull’autonomia scolastica, promossa da Luigi Berlinguer nel 1997.
Una Legge che ha dato l’avvio ad una frammentazione insanabile di programmi, proposte, opportunità, facilitazioni con cui le scuole sono state gettate sul mercato dell’istruzione, in competizione tra loro per attrarre “clienti” e finanziamenti.
Secondo gli organizzatori del convegno capitolini del 22 febbraio, la più recente Legge 107/2015 di Renzi, un unico articolo che declina l’autonomia in 212 commi che impongono digitale, competenze, alternanza scuola-lavoro, misurazioni e certificazioni, si appresterebbe “a cancellare l’ultimo ostacolo alla definitiva trasformazione aziendalistica di ciò che resta della scuola repubblicana nata con la Costituzione: la libertà di insegnamento, la libertà d’apprendimento”.
Sempre su questo tema, qualche giorno fa è stato lanciato un appello per la “Scuola pubblica”, raccogliendo subito migliaia di firme.
È rivolto, non solo agli addetti, ma anche alle famiglie, anche perché l’appello è stato “scritto da chi insegna nella scuola e sperimenta insieme agli alunni, giorno dopo giorno, le drammatiche conseguenze degli interventi normativi degli ultimi anni, svelandone tutte le implicazioni culturali, pedagogiche, professionali, al di là della retorica e della mistificazione imperanti nel discorso pubblico ufficiale”.
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