La questione cruciale per il prossimo anno, con qualunque governo, sarà quella della disoccupazione giovanile.
Infatti, secondo i dati Istat, anche se aumentano, i posti di lavoro non sono per chi ha dai 15 ai 34 anni. E il voto antigovernativo dei giovani, lo scorso 4 dicembre, non è che l’ennesimo tentativo di svegliare la politica dal suo torpore e dalla sua atavica tendenza a lisciare i capelli bianchi dei pensionati.
L’Italia fra l’altro, fa notare Linkiesta.it, è l’ultima Nazione Ocse per livello di occupazione, scolarizzazione e formazione professionale, superata dalla Grecia, mentre la Germania è al secondo posto, dietro alla sola Svizzera.
Magari, occorrerebbe pure ricordarsi che oltre il 42% della popolazione tra i 15 e i 24 anni in cerca di un impiego non trova lavoro non per colpa della recessione ma a causa del mancato incontro tra domanda e offerta, cosa che anche in questo caso fa di noi i fanalini di coda del mondo civilizzato.
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Inoltre, sostiene Linkiesta.it, bisogna fare attenzione al mondo della scuola, continuando ad avvicinarlo al mondo del lavoro, con l’alternanza e con programmi educativi che mettano al centro i nuovi saperi digitali, l’inglese e tutto ciò che serve per avere una professionalità adeguata ai tempi e a misura del bisogno di innovazione dell’economia italiana.
Secondo PwC la mancata messa al lavoro dei giovani brucia ogni anno 140 miliardi di Pil. Tradotto: potenzialmente – formandola nel migliore dei modi e mettendola tutta al lavoro, nei posti giusti – la forza lavoro giovanile oggi seduta in panchina vale sette punti di prodotto interno lordo. Basterebbe sfruttare un decimo di questa energia per cambiare il destino dell’Italia. Per farne la leva e l’orizzonte cui tendere affinché la nostra economia riparta davvero.
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