I giovani italiani più svantaggiati rispetto ai coetanei del resto d’Europa sul fronte dell’istruzione, del lavoro e delle chances di raggiungere l’indipendenza economica e familiare. Ma c’è anche un trend demografico negativo che potrebbe portare l’Italia a chiudere l’anno sotto la soglia dei 400mila nuovi nati per la prima volta dall’unità nazionale.
L’analisi è del Sole 24 Ore su 18 indicatori legati alla famiglia, all’istruzione e al lavoro, considerati all’inizio e alla fine dell’ultimo decennio.
Ed essi rivelano molti gravi ritardi, primo fra tutti il divario tra Nord e Sud, come se l’Italia fosse divisa in due, anche per i giovani.
Per fare semplicemente qualche esempio, i ragazzi che non studiano e non lavorano (i cosiddetti Neet) sono aumentati nel 2020 al 23,4% e l’Italia è il Paese peggiore in Europa su questo fronte. Al Nord, però, i Neet sono il 16,8%, cioè due punti sopra la media Ue, mentre al Mezzogiorno sono il 32,8 per cento. La stessa distanza emerge nella disoccupazione giovanile nella fascia 15-29 anni, dove la media nazionale del 21,7% è abbondantemente superata al Sud – il 35,3% dei ragazzi in quella fascia di età non lavora – mentre non è raggiunta al Nord, dove la percentuale migliora di oltre sette punti (14,1%).
Un divario che nasce a scuola: nelle competenze in lettura e matematica gli studenti del Nord si piazzano sopra il punteggio medio dei coetanei nei Paesi Ocse (sia nel 2009, sia nel 2018), mentre quelli del Sud restano sotto questa soglia.
Prosegue all’università, visto che restiamo penultimi in Europa per laureati nella fascia d’età 30-34 anni, a 14 punti di distanza dalla media Eu. E si espande anche al termine degli studi per cui nella fascia d’età fra 18 e 34 anni, il 64,3% vive ancora con almeno un genitore, contro una media Ue del 48,2 per cento. Inoltre, mentre la percentuale Ue è aumentata di meno di un punto in dieci anni, quella italiana è cresciuta di quasi sei punti.
E ancora chi si sposa, lo fa (in media) quasi a 39 anni e l’età delle madri al parto è crescita nell’ultimo decennio da 31 a 32 anni. Il motivo è la prolungata precarietà lavorativa, dovuta alla lunga permanenza nell’ambito di tipologie di lavoro “flessibile”: se si guarda alla platea dei lavoratori a termine e dei collaboratori fra 25 e 34 anni, si scopre che il tasso di coloro che sono in questa condizione da oltre cinque anni resta al 17 per cento, e al Sud arriva a quasi un giovane su quattro.
A questo si aggiunge anche un welfare spesso carente nelle politiche di sostegno alle famiglie con figli, come dimostra il tasso di copertura dei servizi per l’infanzia rivolti ai bambini tra 0 e 3 anni (asili nido, pubblici e privati, e servizi integrativi) che sfiora il 26% e fatica a raggiungere gli obiettivi europei di Barcellona del 33%.
L’attesa, precisa Il Sole 24 Ore, sta tutta legata sul Recovery Plan.
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