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Lavoro e “vacanze” dei docenti: basta coi populismi, serve un programma di governo

Fine delle lezioni. E puntuale come sempre torna il tormentone delle “vacanze” dei docenti: chi lavora di più e chi meno, chi è “bravo” e chi no, chi guarda solo al contratto e chi dimostra più responsabilità.

Due recenti articoli della nostra testata ben riflettono umori e malumori. Reginaldo Palermo pone l’attenzione sui carichi di lavoro diversi con stipendi uguali specialmente nel periodo di giugno, mentre il preside Zen distingue fra docenti che hanno “coscienza etica” e “si mettono concretamente a disposizione per qualche servizio”, e quelli “che ne approfittano” facendo nulla, situazione deplorevole resa possibile grazie all’insopportabile corporativismo, al finto egualitarismo, al vecchio assemblearismo di matrice sindacale.

Poi ci sono le ondate periodiche di polemiche fumose e ribollite, diciamo pure “populiste”, le quali non fanno altro che gettare ulteriore discredito sulla categoria dei docenti, e di conseguenza sulla Scuola, senza condurre ad alcuna soluzione.

Le questioni di stipendio, merito e ruolo sociale del docente sono problemi cruciali che si possono risolvere con misure accorte e non improvvisate, come avvenuto finora. Per trovare soluzioni valide, servono conoscenza del settore, visione di lungo periodo, risorse e capacità politica. Tutto quello che è mancato da vent’anni a questa parte, con disastri prodotti da destra e da sinistra, e senza che i sindacati abbiano voluto o potuto esercitare un ruolo attivo e propositivo.

I primi a non essere affatto soddisfatti di stipendi uguali con carichi di lavoro diversi, e soprattutto di stipendi minimi con carichi di lavoro sempre maggiori, sono gli stessi docenti, che vorrebbero una quantificazione più realistica ed adeguata. Tutti i sondaggi, compresa la consultazione voluta da Renzi, dicono che i docenti sono prontissimi ad accettare qualche forma di riconoscimento del merito, purché venga definito “quale merito” sulla base di criteri trasparenti ed oggettivi, che aprano a prospettive di carriera stabili.

Il “bravo” docente non è certamente quello che presta servizio in più e gratis per “coscienza etica”! Il “bravo” docente è quello che in primo luogo si impegna nell’attività didattica in aula. Vogliamo una volta per tutte definire a livello nazionale qual è il profilo del “bravo” docente, cosa chiedergli, come riconoscere e premiare impegno e capacità?

 

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Quello che non va bene è la variabilità di criteri che si è creata fra scuola e scuola con la “mancetta” di fine anno introdotta dalla legge 107 ed assegnata dal dirigente scolastico, a stipendio invariato per tutta la vita professionale. Una trovata, quella del bonus, che non porta ad alcun beneficio, né in termini di motivazione a fare meglio, né tantomeno di rivalutazione del ruolo sociale.

Da un lato il docente diventa sempre più condizionabile rispetto alle richieste che subisce (e forse era proprio questo il vero obiettivo), dall’altro il livello stipendiale resta inesorabilmente il più basso d’Europa. Come si fa a parlare di rivalutazione? Quando si attribuisce valore a qualcosa i parametri si alzano.

E veniamo al nodo dello stipendio e del rinnovo contrattuale. Se le risorse messe in campo sono quelle che sono, come al solito è difficile/impossibile fare le “nozze con i fichi secchi”. La carriera del docente andrebbe ripensata profondamente, ma non sembra che né i sindacati né il governo abbiano questa intenzione. È un tira e molla al ribasso.

Vedremo dunque alle prossime elezioni chi avrà il coraggio di proporre un programma innovativo, chiaro e credibile che metta al centro la Scuola sotto il duplice aspetto della formazione degli studenti e della professionalità dei docenti.

 

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Anna Maria Bellesia

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