Tra i dipendenti, in Italia cresce l’occupazione, ma solo quella a tempo determinato, mentre i quelli a tempo indeterminato si riducono. A rilevarlo è l’Istat, che, nel completare il quadro sul mercato del lavoro italiano nel 2018, soffermandosi sull’ultimo trimestre dell’anno, ha registro un’accentuazione del tradizionale gap occupazionale del Meridione rispetto al Settentrione: il tasso di disoccupazione del Sud è infatti del 18,4% nel 2018, quasi tre volte quello del Nord (6,6%) e il doppio di quello del Centro (9,4%).
In generale, nella Penisola il tasso di occupazione sale al 58,5% (+0,6 punti), rimanendo di appena 0,1 punti al di sotto del picco del 2008.
A livello di macro-aree territoriali, però, solo il Sud deve ancora recuperare i livelli di occupazione del 2008 pre-crisi, superato nel resto d’Italia: infatti, il tasso di occupazione nel Mezzogiorno è del 44,5% nel 2018, un punto e mezzo in meno di 10 anni prima, nonostante i progressi dell’ultimo anno, simili a quelli del resto del Paese. Invece, al Nord il tasso di occupazione è al 67,3% e al Centro al 63,2%.
Intanto, l’aumento tra i lavoratori dipendenti riguarda “esclusivamente quelli a tempo determinato” (+323 mila, +11,9%), mentre dopo quattro anni di crescita cala il tempo indeterminato (-108 mila, -0,7%).
Per vari motivi, anche la scuola sta seguendo questo andamento: dopo il piano straordinario del 2016, quando furono assunti oltre 80 mila insegnanti (dovevano essere 100 mila), l’ultimo biennio è stato contrassegnato dalle mancate sottoscrizioni dei contratti rispetto a quelli autorizzati dal Mef: lo scorso anno, ad esempio, oltre 32 mila cattedre destinate al ruolo non furono assegnate e poi dirottate sulle supplenze annuali.
Nel frattempo, complice l’incremento dei pensionamenti, dovuto anche a quota 100, anche se nella scuola l’adesione è stata inferiore alle attese, si stanno liberando altre 35 mila cattedre.
Sommando i 60 mila posti sul sostegno, anche questi liberi anche se l’80 per cento va considerato in deroga, quindi non assegnabili al reclutamento e alla mobilità, nella prossima estate si arriverà a superare abbondantemente le 100 mila supplenze annuali, da assegnare fino al 30 giugno o al 31 agosto 2020.
Da notare, infine, che anche per via della riduzione della natalità, nel Meridione le difficoltà occupazionali dei docenti e Ata risultano decisamente maggiori. Tanto da determinare, anche se questo è un fattore storico, delle vere e proprie migrazioni verso le regioni del Nord: sempre a caccia dell’agognata immissione in ruolo.
Secondo i deputati del Movimento 5 Stelle, “i dati sulla retribuzione dei lavoratori italiani che arrivano dalle audizioni di Inps, Istat e Cnel al Senato sono la dimostrazione che un intervento per istituire il salario minimo in Italia è urgente: una percentuale del 22% dei dipendenti percepisce meno di 9 euro lordi all’ora e al Sud questo dato è ancora più preoccupante dato che un terzo dei lavoratori viene pagato di meno di questa cifra”.
“Il disegno di legge del MoVimento 5 Stelle per istituire il salario minimo orario è già al Senato. Questa è una battaglia che noi portiamo avanti da tempo dato che siamo convinti che la dignità del lavoro sia fondamentale. È necessario assicurare a tutti la giusta paga per il lavoro che svolge, contrastando gli abusi, e integrare una garanzia di salario minimo con l’altro strumento di welfare che abbiamo portato in Parlamento, il Reddito di Cittadinanza”, concludono i deputati.
“È altrettanto vergognoso che quella vecchia politica che fino ad oggi ha completamente abbandonato queste persone, adesso torni alla ribalta in tv, sui giornali e sui social per dirci, come ha fatto il deputato del Partito Democratico Marco Di Maio, che è necessario istituire un salario minimo”.
“Bene, bravi: dove eravate negli ultimi 5 anni? Perché quando eravate al Governo e potevate farlo avete invece deciso di approvare il Jobs Act e abolire l’articolo 18, consegnando milioni di persone al precariato e alla povertà?”, ha detto Davide Tripiedi, portavoce del MoVimento 5 Stelle e vicepresidente della Commissione Lavoro alla Camera dei deputati.
Di tutt’altro avviso sono i sindacati. “I dati Istat di oggi – ha detto Luigi Sbarra, segretario generale aggiunto Cisl – svelano due tendenze a nostro avviso molto preoccupanti: il calo degli occupati nell’ultima parte dell’anno dopo diversi trimestri di crescita ed il fatto che le politiche sul lavoro non intaccano il grave fenomeno della disoccupazione giovanile e meridionale”.
“La Cisl – continua Sbarra – a partire dall’incontro di oggi con il Ministro Di Maio chiede al Governo un forte cambio di passo nella impostazione della politica economica con interventi e provvedimenti capaci di contrastare il rallentamento dell’occupazione e ad aggredirne i punti di sofferenza con nuove politiche pubbliche condivise e sostenute da azioni coerenti delle parti sociali”.
Per Ivana Veronese, segretaria confederale Uil, siamo di fronte ad “un mercato del lavoro fermo sulle problematiche di sempre, è quello che ci consegnano gli indicatori Istat riferiti al quarto trimestre 2018”.
“Il dato tendenziale mostra un’occupazione che, a distanza di un anno, è cresciuta di un modesto 0,4%, determinato dall’aumento delle lavoratrici e lavoratori a termine”.
“Il Mezzogiorno – prosegue Veronese – continua ad essere l’area dove la disoccupazione vede coinvolte 19 persone ogni 100 e l’inattività ha raggiunto un tasso del 45,5% rispetto ad una media nazionale del 34,2%. Nel Sud la questione dell’inclusione delle donne nel mercato del lavoro è più marcata rispetto alle altre due macro aree”.
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