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Lavoro minorile in Italia: quei dati in aumento che impongono una riflessione

Il Rapporto, reso noto in occasione della Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile, è stato realizzato nell’ambito delle attività dell’Osservatorio Unicef per la prevenzione dei danni alla salute da lavoro minorile, coordinato dal Prof. Domenico Della Porta e curato dal “Laboratorio di Sanità Pubblica per l’analisi dei bisogni di Salute delle Comunità” del Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria “Scuola Medica Salernitana” dell’Università degli Studi di Salerno.

La Giornata mondiale di quest’anno celebra il 25º anniversario dell’adozione della Convenzione OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) n. 182 sulle forme peggiori di lavoro minorile (1999) che nel 2020 ha realizzato l’importante traguardo di ratifica da parte di tutti i 187 paesi che fanno parte dell’OIL. Con l’Obiettivo 8.7 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, tutti i Paesi si sono impegnati ad adottare misure per eliminare le peggiori forme di lavoro minorile entro il 2025.  

Lavoro minorile e istruzione

L’esclusione dall’istruzione e dalla formazione è spesso sistemica ed è alla base del lavoro minorile, dei lavori sotto remunerati e di scarsa qualità, e della segmentazione del mercato del lavoro. È piuttosto probabile che un bambino che oggi non frequenta la scuola perché costretto a lavorare sarà un lavoratore povero durante tutta la vita lavorativa” ha affermato Gianni Rosas, Direttore dell’Ufficio OIL per l’Italia e San Marino.

I dati in Italia

Il primo dato emergente è che nel 2023 sono stati 78.530 i lavoratori minorenni italiani tra i 15-17 anni, ovvero il 4,5% della popolazione totale dei minorenni di quella fascia d’età, in aumento rispetto ai 69.601 del 2022 e ai 51.845 del 2021. L’aumento dei lavoratori minorenni è evidente non solo rispetto alla fase pandemica, ma anche in confronto all’anno 2019. Si tratta di lavoratori nella posizione “dipendente”, seguita da “operai agricoli” e “voucher”.

Le cinque regioni con il maggior numero di ragazzi fino a 19 anni occupati complessivamente nell’arco dei cinque anni presi in esame sono rispettivamente: Lombardia (240.252), Veneto (155.987), Emilia Romagna (134.694), Lazio (119.256) e Puglia (108.867).

Dei 310.287 minorenni fino a 19 anni coinvolti nel lavoro nel 2021, 193.138 sono maschi e 117.149 sono femmine, in aumento rispetto ai 154.

Infortuni

Il rapporto mette in luce il fenomeno dei baby lavoratori e rivela come siano proprio loro più spesso vittime di incidenti e morti bianche. Stando ai dati, infatti, la fascia di età entro i 19 anni nel 2022 i lavoratori erano 376.814, rispetto ai 310.400 nel 2021. Nel periodo compreso tra il 2018 e il 2022 le denunce di infortunio presentate all’Inail relative ai lavoratori entro i 19 anni di età sono state 338.323 di cui 211.241 per i minori di età fino a 14 anni e 127.082 nella fascia 15-19 anni. Le denunce di infortunio mortale sono state in totale 83 nel periodo tra il 2018 e il 2022.

Reddito

Il report aggiunge un nuovo dato relativo al reddito minorile: il reddito medio settimanale stimato per i lavoratori di sesso maschile oscilla da 297€ nel 2018 a 320€ nel 2022 mentre nelle donne passa da 235€ nel 2018 al 259€ nel 2022; viene pertanto confermata una retribuzione costantemente più alta per il genere maschile.

Differenze di genere

Il maggiore impiego di lavoratori di sesso maschile entro i 19 anni, mette in luce il rapporto dell’Unicef, rispetto a lavoratrici di sesso femminile, mostra la tendenza delle donne a essere più istruite degli uomini; il 65,3% delle donne ha almeno un diploma contro il 60,1% degli uomini e le laureate arrivano al 23,1%, contro il 16,8% degli uomini, secondo recenti dati Istat. Inoltre, per le giovani donne che decidono di abbandonare gli studi, ottenendo al più un titolo secondario inferiore, le possibilità di occupazione rispetto ai loro coetanei maschi sono di gran lunga minori: 20,8% rispetto a 41,9%.

Carmelina Maurizio

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