Il lavoratore italiano atipico? Molto spesso è un giovane tra i 18 ed i 29 anni. Tra questi, solo la metà, il 54%, ha un contratto a tempo indeterminato, poco meno del 10% sono autonomi, circa l’8% ha un contratto di apprendistato e quasi il 25% rientra nell’atipico. I dati sono attendibili, perché realizzati dall’Isfol, l’istituto per lo sviluppo della formazione dei lavoratori, che nell’ambito di una rilevazione sull’offerta di lavoro ha coinvolto annualmente circa 40 mila individuitra i 18 e i 64 anni.
In base ai dati statistici raccolti dall’Isfol è emerso che l’incidenza di occupazioni atipiche è decisamente sbilanciata per età, coinvolgendo maggiormente i giovani. Andando ancora più in profondità le occupazioni meno vantaggiose riguardano soprattutto giovani donne, laureati e i residenti nelle regioni meridionali.
Relativamente all’orizzonte temporaledei contratti atipici, la metà dei dipendenti a termine ha una continuità che va dai 7 ai 12 mesi e solo un quarto supera l’anno. La durata delle altre tipologie atipiche è ancora minore.
Ma quel che più preoccupa è soprattutto il dato, riguardante il periodo 2008-2010, che solo il 37% dei lavoratori atipici è passato ad un’occupazione standard, mentre il 43,1% è rimasto nella condizione originaria e circa il 20% è finito nell’area dei senza lavoro: ciò significa che, in pratica, per due atipici su tre non vi sono prospettive, almeno nel breve termine. Confrontando questi dati con il precedente biennio 2006-2008 emerge come il tasso di trasformazione da un’occupazione non standard al lavoro tipico sia sceso di 9 punti percentuali (dal 46% al 37%).
“Possiamo parlare – ha dichiarato Aviana Bulgarelli, direttore generale dell’Isfol – di un mercato del lavoro meno permeabile, in cui l’ingresso nel mondo del lavoro prima e la stabilizzazione delle posizioni lavorative poi avvengono con più difficoltà. Il lavoro non standard aumenta le probabilità di transitare verso un impiego stabile. Tuttavia, la velocità di trasformazione di conversione dei contratti flessibili in occupazioni stabili si è ridotta e gli esiti negativi sono aumentati, segnale che la crisi l’hanno pagata in particolare gli atipici e coloro che nel mondo del lavoro ancora non erano entrati a fine 2008”. Quindi soprattutto i giovani. Che, non a caso, nelle manifestazioni degli ultimi anni hanno a lungo intonato il coro “la crisi non paghiamo noi”.
Tra tante brutte notizie ve ne sono due comunque incoraggianti. La prima riguarda i laureati, che nel periodo 2008-2010 pur mostrando il più alto grado di permanenza nella condizione di non standard (circa 1 laureato su 2 è rimasto con contratto atipico) hanno palesato maggiore capacità di muoversi dalla non occupazione verso l’occupazione, registrando i migliori livelli di trasformazione dal lavoro atipico al tipico. La seconda riguarda gli apprendisti: analizzando i flussi relativi alle specifiche tipologie contrattuali – le cosiddette performance contrattuali – emerge come l’apprendistato offra la maggiore probabilità di mantenere un’occupazione e di confluire nel lavoro a tempo indeterminato: “l’apprendistato – sottolinea il direttore dell’Isfol – nella sua natura formativa, permette ai giovani di acquisire le competenze tecniche e trasversali richieste dalla domanda di lavoro e non sufficientemente fornite dal sistema di istruzione e formazione i cui curricula non consentono, al contrario degli altri Paesi europei, periodi di stage in impresa”.