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Lavoro sommerso docenti: in Giappone 3 su 4 lavorano più di 11 ore al giorno. E in Italia?

Precariato, complesso arruolamento, difficile percorso formativo per ottenere abilitazioni all’insegnamento, concorsi dalla frequenza e dall’assetto biblico: sono, a quanto pare, solo alcune limitazioni imposte alla professione del docente, destinato a vivere in una trincea a combattere con e contro i sindacati, con e contro i genitori, con e contro un sistema che difficilmente si prende cura di loro. Tutto ciò per uno stipendio tra i più bassi d’Europa, per condizioni di lavoro spesso massacranti e limitate garanzie d’impiego, aumenti inesistenti nonostante il calo complessivo del potere d’acquisto. Contratti obsoleti, scaduti, erogati secondo dati oramai non attuali, non confacenti le condizioni di un impiego ove occorrono competenze personali, critiche, professionali ed intellettuali acquisite con anni di studio, fatica, concorsi ed abilitazioni.

A quanto pare, la condizione precaria del corpo docenti pare, tristemente, un fenomeno globale: gli stipendi dei docenti sono incredibilmente inferiori rispetto a quelli di altri dipendenti statali, nonostante i titoli accademici acquisiti nel tempo. Anche in Giappone, purtroppo, l’impiego di insegnante risulta essere una posizione “da trincea”: almeno 3 insegnanti su 4 conducono uno stile di vita deleterio a seguito di lavoro straordinario fino ad arrivare a 11 ore giornaliere, le quali presentano impatto negativo sulla vita privata, sociale e collettiva, noto a livello locale come “karoshi”.

Ritorna il superlavoro dopo l’evo pandemico in Giappone?

Il lavoro e le ore trascorse oltre quelle prestabilite dal contratto sottoscritto possono – o hanno decisamente – un impatto decisivo sulla vita dei docenti nelle isole nipponiche. Quasi il 75 % di questi soffre di “overworking”, ovvero dello svolgimento di lavoro straordinario che – indipendentemente dalla retribuzione accordatasi – presenta un impatto assai negativo sulla salute biopsicofisica dei docenti: altera i cicli di sonno notturni, li rende più vulnerabili a patologie e influenze stagionali, compromette fenomeni metabolici come la digestione e provoca il più frequente insorgere di patologie mentali quali ansie, depressione ed aumenta il rischio di suicidio. 

È quanto emerge da un report la cui redazione è stata condotta da un gruppo di ricercatori indipendenti guidati da Ryo Uchida, docente dell’Università di Nagoya. Secondo tale dossier statistico, condotta su un campione di 924 docenti di età compresa tra i 20 e i 50 anni, circa il 74,4 % di questi ultimi soffre di superlavoro, accumulando in un mese circa 80 ore di straordinario, valore indicato dal Ministero competente come “potenzialmente fatale” da comportare un rischio per la vita del dipendente, il quale si confronta con l’insorgere di patologie di stampo prima professionale, poi fisico e psicologico, comportando, nei casi più gravi, una seria compromissione delle attività biologiche che garantiscono la vita.

L’effetto di tale fenomeno si sperimenta e figura sulla didattica offerta ai ragazzi e alle ragazze, che perde di consistenza, di qualità e di fini che non riescono ad andare oltre la mera somministrazione di nozioni secondo l’ansia da programma o manuale. Secondo il sondaggio, “anche un terzo degli insegnanti di scuola elementare svolge oltre 40 ore di straordinario al mese, ed è stato invitato dai dirigenti scolastici a dichiarare meno ore di lavoro rispetto a quelle effettivamente lavorate”.

Il caso del Belpaese: lavoro ufficiale mal retribuito, lavoro sommerso ignorato del tutto 

Alla pari dell’economia sommersa che prevede la veicolazione di capitali e merci non censite e stimate, i docenti italiani, oltre ad uno stipendio quasi da fame e a condizioni contrattuali “work in progress” vivono una vita professionale non meramente rinchiusa tra le mura scolastiche: la correzione dei lavori scritti, lo studio personale per la preparazione delle lezioni, l’allestimento delle prove orali e scritte, le riunioni con i colleghi e con i Dirigenti, con specialisti dell’educazione che si occupano dell’inserimento di studenti DSA sono solo attività ulteriori, overtime come piace agli anglosassoni, non retribuite affatto secondo gli estremi contrattuali attuali. Decisivo sarebbe l’istituzione, a livello di pagamenti e maggiorazioni sui miseri stipendi attuali, un tanto promesso fondo per la valorizzazione della professione docente utile a premiare in sede di contrattazione i docenti che oggi svolgono oggigiorno funzioni malretribuite.

Pare sia complesso, per un lavoratore che non sia afferente al mondo della scuola, decodificare al meglio l’impiego del docente che, in termini di orari settimanali, è in maniera fuorviante fatto ricondurre a quelle trascorse in classe, che, secondo media europea, ammontano a 18-22 ore settimanali, le quali escludono quelle di “lavoro sommerso” dedicato ad attività complementari alle lezioni. 

Andrea Maggi

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