Gentile Presidente Renzi,
mi scuso per il ritardo con il quale rispondo alla Sua lettera del 13 maggio, ma Le confesso che inizialmente ho pensato che si trattasse della solita trovata pubblicitaria. Non Le nascondo, però, che le pressioni esercitate da una parte della Sua maggioranza, ansiosa di approvare la riforma nei termini che conosciamo, non mi fanno ben sperare: dire di volere il dialogo ed avviare la discussione/approvazione ancora prima di avere ultimato il confronto con chi vive la scuola quotidianamente non mi sembra un buon inizio.
In questa missiva, tuttavia, proverò a segnalarLe quelle che, a mio giudizio, sono le anomalie più preoccupanti presenti nella scuola italiana.
Anch’io, come Lei, credo molto nell’autonomia delle istituzioni scolastiche. Ma autonomia non significa aziendalizzazione del sapere, con il conseguente rischio di comprimere troppo la libertà di insegnamento. Tale interpretazione, infatti, mortifica lo spirito e la lettera di una riforma che circa 16 anni addietro si poneva l’ambizioso obiettivo di avvicinare la scuola ai territori e alle loro esigenze. Nelle intenzioni del legislatore dell’autonomia, infatti, vi era la costruzione di un sistema scolastico flessibile e dinamico, capace di porre al centro della propria attenzione gli alunni e, contestualmente, recepire le specifiche esigenze delle realtà locali, sia pure nel rispetto di direttrici curriculari di base valide a livello nazionale.
E’ vero che la formazione italiana presenta numerose criticità che vanno affrontate. Temo però che l’articolato proposto dal Governo da Lei presieduto non interviene sulle vere storture del sistema, molte delle quali sono comuni a tutto il resto della Pubblica Amministrazione: lentezza, inefficienza, autoreferenzialità e, ahimè, in qualche caso mancanza di trasparenza, che sovente alimenta fenomeni di immoralità nella gestione delle risorse pubbliche. Molte altre storture, tutte interne all’amministrazione scolastica, invece, sono riconducibili ad un’errata interpretazione e applicazione delle norme sull’autonomia, sovente vissuta dagli addetti ai lavori come una noiosa procedura burocratica piuttosto che come un’opportunità di crescita e di rilancio delle scuole e dei territori di riferimento.
L’approccio formalistico descritto, abbinato alla mancanza di trasparenza e all’assenza di un’efficace attività di accountability (quasi nessun ente pubblico dà concretamente conto agli utenti del proprio operato), ha contribuito non poco allo scollamento tra cittadini e pubblica amministrazione. Per ridare slancio e senso all’autonomia scolastica, nonché immagine e prestigio alle singole scuole e agli operatori dell’educazione, occorre accelerare sul versante della rendicontazione sociale. E’ necessario, infatti, che chi esercita una funzione pubblica, specie se dirigenziale, abbia l’obbligo di rispondere (davvero!) del proprio operato direttamente ai fruitori del servizio, il giudizio dei quali deve pesare adeguatamente nel contesto di qualsiasi strategia di valutazione del merito.
ELIMINAZIONE DEI CENTRI DI POTERE ALL’INTERNO DELLE ISTITUZIONI SCOLASTICHE
Lo smantellamento del vecchio sistema scolastico, verticistico, basato sull’asse Ministero/Provveditorato/Preside, e l’introduzione di un’autonomia zoppa, priva cioè di un efficace sistema di rendicontazione sociale (accountability), oltre ad aver pregiudicato qualsiasi ipotesi di crescita qualitativa della formazione italiana, ha creato le condizioni per una progressiva degenerazione del sistema che, nelle situazioni più gravi, si è tradotta nella nascita di veri e propri centri di potere all’interno delle scuole. Tale fenomeno è ancora più preoccupante nelle istituzioni scolastiche ubicate nelle regioni destinatarie dei fondi strutturali europei.
La riforma, fortemente voluta da una parte della Sua maggioranza, rischia di consolidare ulteriormente questi centri di potere attraverso l’introduzione di un sistema di valutazione e di selezione degli insegnanti che, ne sono certo, in molti casi sarà utilizzato per “mettere in riga” coloro i quali, ostinatamente, continuano ad immaginare e proporre un approccio educativo coerente con gli interessi degli utenti e dei territori.
E’ necessario ed urgente smantellare i centri di potere attraverso una rotazione sistematica degli incarichi di vertice (Dirigente scolastico, D.S.G.A., collaboratori del Dirigente, funzioni strumentali, ecc.) e, soprattutto, dando un ruolo più rilevante in termini di controllo e sotto il profilo della valutazione della qualità dell’offerta formativa ad alunni e genitori.
RIDEFINIZIONE DELLA FUNZIONE EDUCATIVA E INTRODUZIONE DEL MERITO, MA NO AGLI INSEGNANTI VALUTATI/NOMINATI SOLTANTO DAI DIRIGENTI
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, l’introduzione, per legge, di un codice deontologico che aiuti e orienti gli operatori dell’educazione nell’espletamento delle proprie funzioni rappresenta un’esigenza oramai ineludibile. Occorre, infatti, ridefinire le dimensioni etiche della funzione educativa attraverso una chiara individuazione dei doveri ad essa inerenti, anche in considerazione della centralità che la figura dell’insegnante ha finito per assumere nella scuola dell’autonomia. In un contesto in cui l’insegnamento si fa più libero, problematico e complesso occorre definire chiaramente dei parametri capaci di garantire la misurabilità dell’impegno professionale e, di conseguenza, la valorizzazione del merito.
Tale operazione, tuttavia, non può essere affidata ad una sola persona senza correre il serio rischio di comprimere o pregiudicare, nell’ipotesi migliore, la libertà di insegnamento. Infatti, il pericolo che dietro al merito possano in realtà celarsi finalità “meno nobili” è concreto. Tanto per fare un esempio che riguarda la politica, l’introduzione del “porcellum” e dei listini bloccati hanno permesso ai leader di partito di nominare (in Parlamento e nei Consigli regionali) veline, showgirl, referenti di organizzazioni mafiose e un discreto numero di persone di “grande spessore culturale” sui quali la satira televisiva impazza. Non importiamo nella scuola il medesimo metodo adottato per selezionare la classe politica negli ultimi lustri! E per raggiungere questo scopo è necessario creare degli appositi organismi collegiali in cui tutte le componenti della scuola abbiano un ruolo rilevante nella selezione e nella valutazione del personale.
REVISIONE DELLE PROCEDURE DI RECLUTAMENTO DEI DIRIGENTI SCOLASTICI
In considerazione del rilevante ruolo che i Dirigenti ricoprono nella scuola dell’autonomia, la pregherei, gentile Presidente, di volgere lo sguardo alle procedure adottate al momento della selezione dei capi d’istituto da alcuni tra i più importanti Stati europei. Nell’efficiente Germania, tanto per fare un esempio, oltre a tenere in debita considerazione i risultati che l’aspirante Dirigente ha ottenuto in qualità di insegnante, in alcuni Länder vengono coinvolti nella scelta delle candidature sia gli enti pubblici finanziatori che la Schulkonferenz, composta da insegnanti, genitori e alunni.
Sono certo che saprà cogliere le differenze con la procedura di preselezione dei Dirigenti scolastici voluta dalla signora Gelmini, la quale, com’è noto, predica la meritocrazia ma non la pratica (tutti sanno della sua performance all’esame di Stato per avvocato a Reggio Calabria). Tale procedura, gestita da Formez Italia S.p.A., è risultata la più contestata nella storia dell’istruzione pubblica. Sorvolo sui costi e i personaggi che ruotavano intorno all’organismo di gestione, ma desidero ricordarLe, utilizzando le parole di Maurizio Tiriticco, la più macroscopica e indecorosa delle anomalie attinente la qualità dei quesiti prodotti, i quali risultavano “disomogenei sotto il profilo della fattura docimologica al punto che era molto difficile riconoscervi la dignità di una prova”.
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