La scuola-azienda è in antitesi con la scuola-Stato: dietro all’eccesso di certificazioni nelle scuole, di standardizzazione, di presentazione del portfolio, di rendicontazione delle competenze e, ultimamente, di entrate a gambe tese dei privati negli istituti, c’è una precisa scelta politica e ideologica. È partita dall’epoca del ministro Luigi Berlinguer, con la Legge 59/1999, ed è continuata con Tullio De Mauro, poi Letizia Moratti, infine Maria Stella Gelmini, sino ad arrivare ai giorni nostri. Contrassegnati da tagli continui di scuole, ore di lezione e semplificazione dei contenuti formativi. A sostenerlo è Antonia Sani, del Comitato nazionale per la “Scuola della Repubblica” tra i relatori del convegno, svolto alcuni giorni fa al Liceo Torquato Tasso di Roma sulla “Difesa della scuola pubblica”.
La riforma della Buona Scuola non è stata da meno
“In questi ultimi 20 anni – sostiene Sani – ci si è allontanati dalla scuola come istituzione, per dare spazio alla burocrazia e creare una struttura efficiente che tende sempre più al privato”.
Di fatto, sostiene la rappresentante del Comitato nazionale, il sistema d’istruzione si è piegato progressivamente alle esigenze del capitalismo.
Anche gli ultimi due governi di centro-sinistra, sempre secondo Sani, avrebbero collaborato allo sviluppo di questa tendenza: “La stessa alternanza scuola-lavoro va in questa direzione: si cerca di ‘piazzare’ gli alunni con competenze produttive, senza formare in loro alcuna coscienza critica, né trasmettere cultura”.
Quelle competenze che non possono primeggiare
E ancora: “La perenne contrapposizione tra conoscenze e competenze – continua – ci sta portando nella chiusura di una torre d’avorio, dove le seconde, intese nel senso produttivo e di mercato, prevalgono sulle prime”.
“Invece – continua Sani – sappiamo bene che le competenze derivano dalle conoscenze e non viceversa”.
“Anche la ‘lotta’ tra lezioni in aula e in laboratorio”, dove si potrebbero realizzare lezioni davvero formative straordinarie “sta diventando un terreno che sposta la realtà delle cose: perché ormai è tutto finalizzato alla produzione, ma la scuola non deve servire a questo”, conclude l’esponente dell’istruzione pubblica nel senso più tradizionale.
Privati negli organi collegiali?
Le riflessioni del Comitato appaiono chiaramente anche in opposizione ai progetti di revisione degli organi collegiali che vorrebbero introdurre membri esterni, come esperti del lavoro o cittadini impegnati in particolari attività con riflessi sulla formazione, all’interno di quello che dovrebbe essere il nuovo Consiglio d’Istituto.
Si tratterebbe di un’ulteriore presenza del settore privato nelle scuole. Tuttavia, il dimezzamento delle ore di alternanza-lavoro potrebbe anche rappresentare una retromarcia rispetto a questa strada intrapresa da tempo. Nei prossimi mesi capiremo se la gestione Bussetti è davvero contraria al modello scuola-azienda.