L’attuale scuola non prepara adeguatamente i giovani per il mondo del lavoro: più di un milione di posti qualificati continua rimanere vacante per mancanza di candidati. A ricordarlo non è stato un cittadino qualsiasi, ma il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara: ai 4 mila studenti chiamati da Confindustria al primo evento di orientamento organizzato in uno stadio, il Benito Stirpe di Frosinone, in occasione degli ‘Stadi’ Generali dell’Orientamento, il titolare del dicastero bianco ha detto che “molti di voi rischiano di non trovare lavoro. Questo modello di scuola purtroppo non è in grado di offrire quella formazione che il mondo delle imprese richiede e questo purtroppo danneggia i nostri ragazzi”.
Davanti ad artisti, imprenditori e sportivi, Giovanni Brugnoli, vicepresidente di Confindustria, ha detto che stiamo vivendo un “mismatch drammatico”: i dati – di Excelsior-Unioncamere – indicano che rispetto al periodo pre-covid sono raddoppiate, passate dal 25 al 46%, le imprese in difficoltà nel trovare persone da assumere che abbiano le competenze di cui hanno necessitano.
“In Italia un problema c’è: governi e politica, in questi anni, hanno perso di vista i giovani. E la scuola è sempre al centro dei programmi elettorali per poi essere dimenticata”, denuncia Giovanni Brugnoli.
L’Italia, ha continuato il numero due di Confindustria, deve “far decollare gli Its che sfiorano il 90% di placement”. E c’è il Pnrr che “destina 19,44 miliardi al potenziamento dell’istruzione. Una quantità di risorse senza precedenti che dobbiamo spendere e, soprattutto, farlo bene: sulla formazione, sull’edilizia scolastica, sui collegamenti con il mondo del lavoro. La scuola è il vero investimento sul futuro. Non sprechiamo questa opportunità”, ha concluso Brugnoli.
E il gap scuola-lavoro peggiora perchè “questi due mondi”, imprese e scuola, “non si sono parlati. Cambiare in sette anni undici ministri è una problematica ulteriore. Decisamente ha rallentato”.
La perdita di valore aggiunto per le imprese è attorno ai 38 miliardi l’anno. “Nei prossimi 5 anni serviranno 3,8 milioni di nuovi occupati. 2,7 per sostituire chi va in pensione ma c’è anche la previsione di una fase di espansione. Ce le avremo queste risorse?” si domanda, illustrando i dati, il vicesegretario generale di Unioncamere Claudio Gagliardi.
“Il dato è impressionante. Se noi abbiamo a cuore veramente il futuro dei nostri ragazzi non possiamo accettare che 1.200.000 posti di lavoro in Italia non vengano coperti, perché il sistema scolastico attuale non è in grado di fornire le qualifiche richieste dal mercato del lavoro”, ha detto ancora il ministro Valditara, prima di annunciare “la sfida di riformare la scuola”, di “aprire la scuola al mondo delle imprese”.
“Non possiamo permetterci di lasciare una generazione alla finestra, di non avere dei giovani inseriti nella società ma in una situazione di esclusione”, ha detto la ministra del Lavoro, Marina Calderone.
“E’ la prima volta che Confindustria riunisce quattromila studenti in uno stadio”, a partire dalle scuole elementari e arrivati da tutt’Italia, tiene a dire la dg di Confindustria, Francesca Mariotti.
“Dovete avere il coraggio di sognare”, dice ai ragazzi l’imprenditore Brunello Cucinelli. Il tema è anche tecnico. Ed è politico perché, sostengono gli industriali, è un lavoro che “per scelta, per il sistema Paese” si vuol portare avanti con il sistema pubblico dell’istruzione e non con iniziative private.
Il problema è che l’ambito pubblico non sembra vivere uno dei suoi periodi più floridi. Nel 2022 i lavoratori pubblici hanno sì raggiunto 3,26 milioni (+0,8%), il livello più alto dell’ultimo decennio, ma è sempre più elevato il numero di quelli inquadrati lavorativamente in modo flessibile.
Il dato è contenuto nella ricerca “Ripartiamo dalle Persone“, presentata il 16 maggio in apertura del Forum Pa 2023, dalla quale risulta anche che entro 10 anni andranno in pensione un milione di dipendenti pubblici.
Inoltre, il lavoro pubblico non sembra più attraente come qualche decennio fa: due vincitori di concorso su dieci rinunciano infatti al posto. E cresce il lavoro a tempo determinato.
Intanto, l’età media dei dipendenti pubblici italiani (esclusi corpi di polizia, vigili del fuoco e forze armate) è arrivata a 50 anni e appena il 4,8% risulta sotto i 30 anni.
La carenza di tecnici e profili specialistici si coglie anche nella PA. Tanto che si teme che il pubblico impiego non sia in grado di gestire il Pnrr.
La ricerca evidenzia che l’affitto impegna quasi il 50% dello stipendio di un laureato neoassunto, contro il 18- 23% in una città metropolitana del Sud: un dato che trova conferma nel sondaggio prodotto dalla Tecnica della Scuola, da cui deriva che la spesa media dei fuori sede, per affitto, bollette e trasporti, si aggira sui 1.000 euro mensili.
Inoltre, va ricordato che entro i prossimi 10 anni alcune amministrazioni dovranno sostituire più di metà del personale in servizio, ma in valori assoluti le uscite più significative saranno per scuola (463.257, quasi la metà dell’attuale contingente), sanità (243.130) e enti locali (185.345).
Dalla ricerca è pure emerso che nel 2021 il numero dei contratti a tempo indeterminato ha raggiunto il minimo storico con 2.932.529 persone con questo contratto: si tratta del livello più basso dal 2001, mentre i contratti di lavoro flessibili sono oltre 437.000, 22.000 in più rispetto all’anno precedente.
Al Messaggero, il ministro per la Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, ha ricordato che “negli ultimi dieci anni con il blocco del turnover ha vissuto un grande impoverimento, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. I nostri uffici hanno visto un impoverimento di circa 300mila persone”.
L’Italia, in effetti, “registra il dato più basso nel rapporto tra numero di residenti e lavoratori pubblici: il 5,6% contro l’8,4% della Francia, il 7,8% dell’Inghilterra e il 6,8% della Spagna”.
Per questo, ha continuato Zangrillo, il Governo Meloni in Consiglio dei ministri ha previsto, con il decreto-legge 44, “un piano di assunzioni di circa 3mila persone, due terzi delle quali per il comparto difesa e sicurezza. Numeri che vanno oltre al turnover per il quale abbiamo inserito circa 157mila persone nel 2022 e nel 2023 abbiamo come obiettivo quello di assumerne oltre 170mila. Sono 320 mila dipendenti in due anni”.
Tornando alla valorizzazione del merito, prima di tutto va rivisto “tutto il sistema di valutazione”.
L’investimento più grande “che possiamo fare è sulle competenze. Trovo assurdo – dice ancora il ministro – che il tempo medio dedicato alla formazione dai nostri dipendenti sia di appena un giorno pro-capite l’anno”. Un dato “insufficiente. Per questo è stata emanata una direttiva, che triplica il tempo medio dedicato alla formazione e che la lega a vantaggi professionali e percorsi di carriera”.
Nel frattempo, “dobbiamo fare in modo che la PA diventi una grande opportunità per tutti i giovani, soprattutto per quelli talentuosi che spesso vedono nel pubblico un posto polveroso e poco dinamico, dove le competenze invecchiano velocemente, la carriera – ha concluso Zangrillo – è un miraggio e si rischia di rimanere intrappolati”.
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