Per la direttrice del dipartimento di Psicologia dell’università La Sapienza di Roma, ad esacerbare il fenomeno delle baby gang sarebbero state “le serrate forzate e le lezioni scolastiche a distanza determinate dalla pandemia”. Rimedio? “Fondamentale il lavoro di scuola e famiglie. La creazione di luoghi sani di aggregazione giovanile”.
Per la psicologa, interpellata da Agenzia Nova, la genesi delle azioni violente “è sicuramente multifattoriale, non parte tutto e sempre dalla stessa causa. In molti casi si pensa siano ragazzi disagiati ma non è sempre così, abbiamo baby gang composte da giovani della borghesia. Altre volte sono ragazzini cresciuti in clima di violenza. Più frequentemente sono uomini che se la prendono con una persona in condizioni di fragilità o portatrice di una diversità. La dinamica però non riguarda com’è l’altro ma la gestione della rabbia negli aggressori”.
“Al fenomeno contribuiscono più fattori a livello mediatico se ne parla di più e c’è la percezione di essere più esposti. Però i periodi di lockdown e di frustrazione che i ragazzi hanno attraversato senza scuola e chiusi in casa, hanno inciso facendo sfociare la frustrazione in violenza”.
Per prevenire le violenze, conclude l’esperta, servono “interventi per sensibilizzare i ragazzi: provare rabbia è qualcosa che può succedere ma la differenza la fa come si reagisce. Sono fondamentali gli interventi nelle scuole per sensibilizzare i ragazzi al fatto che, provare rabbia e ostilità, è qualcosa che può succedere ma che la differenza la fa come si reagisce. Servono azioni locali di educazione alla legalità e le famiglie devono essere coinvolte”.