Il giorno 7 ottobre 2015 presso il ministero si è svolto un incontro del tavolo tecnico pe la ridefinizione del ruolo dell’insegnante di sostegno. Ha partecipato anche il Gruppo Cattedre miste di cui il nostro collaboratore Claudio Berretta fa parte.
Tra le deleghe al Governo stabilite dalla L. 107/2015 (riforma della scuola Renzi) c’è anche quella relativa alla “ridefinizione del ruolo del personale docente di sostegno”[1] con un orientamento che pare ricalcare la proposta di Legge C-2444 in discussione in Parlamento, la quale prevede una carriera separata per i docenti specializzati per il sostegno e l’istituzione di una relativa e specifica classe di concorso.
In merito questa proposta ci sono stati due autorevoli interventi di Salvatore Nocera[2] e Luciano Paschetta[3] su Superando.it che rigettano le accuse di medicalizzazione del ruolo dell’insegnante di sostegno fatte a questa proposta di legge.
Sicuramente nella proposta non si parla di formazione prevalentemente in ambito anatomo-fisiologico o neuropsichiatrico e sarà pur vero che l’intenzione è quella di approfondire la formazione in ambito metodologico, didattico e pedagogico, ma se si sceglie di affidare il lavoro di sostegno agli allievi con disabilità a personale che non è più insegnante di scuola dell’infanzia o primaria o di una specifica disciplina della scuola secondaria, ma ha una laurea magistrale che gli permette di fare solo l’insegnante di sostegno, è evidente che la sua estraneità rispetto al corpo insegnante (una delle criticità attualmente presenti) aumenta e con essa aumenta l’estraneità degli allievi con disabilità rispetto alla classe.
La figura di sostegno non sarebbe infatti più un insegnante. Non avrebbe più una formazione abilitante per l’insegnamento curricolare. Per questo si dice che sarà più vicino alle attuali figure di educatore o assistente alla comunicazione. Molto più difficile diventa così realizzare il principio di contitolarità della classe (affermato dalla L. 104/1992 art. 13 C. 6) mentre aumenta il rischio di delega all’insegnante di sostegno e di deresponsabilizzazione dell’insegnante curricolare.
Ciò che muove le associazioni proponenti la proposta di Legge C-2444 è peraltro pienamente condivisibile. In ventitré anni di lavoro come insegnante di sostegno tante volte ho sofferto vedendo allievi con disabilità cambiare quattro insegnanti di sostegno in un anno e magari tutti senza una formazione specifica, ma la loro scarsa formazione non derivava dal fatto che il percorso di formazione degli insegnanti specializzati fosse inadeguato, bensì dal fatto che spesso si trattava di personale precario senza alcun tipo di formazione.
1° criticità: adeguata formazione degli insegnanti di sostegno
Questa criticità allora è forse facilmente superabile svolgendo regolarmente i corsi di specializzazione ed evitando ciò che è successo dopo la chiusura delle SIS: per quattro anni non si sono fatti corsi di specializzazione.
A ciò si deve aggiungere una formazione più approfondita sulle singole disabilità nell’ambito della formazione continua in itinere di tutti gli insegnanti e in particolare di quelli di sostegno: se arriva un allievo con sindrome dello spettro autistico o sordo o non vedente, tutto il consiglio di classe dovrà fare una formazione sulle metodologie didattiche specifiche e l’insegnante di sostegno ne farà una più approfondita per aiutare al meglio gli allievi e i colleghi.
Non c’è bisogno di rendere le figure di sostegno figure separate dal corpo insegnante per ottenere questo, anzi, un insegnante di una disciplina che in più ha la specializzazione è riconosciuto più facilmente come interlocutore rispetto ad una figura professionale diversa. e ancor più lo sarebbe se in parte del suo orario svolgesse il ruolo di insegnante curricolare.
2° criticità: continuità
Un’altra criticità è quella relativa alla continuità: come evitare che dopo cinque anni gli insegnanti chiedano il passaggio alla cattedra curricolare, lasciando di nuovi sguarniti i posti per insegnanti di sostegno specializzati e gli allievi in balia di continui e vorticosi cambiamenti di insegnanti, spesso non specializzati e alla loro prima esperienza?
La proposta delle cattedre miste va in questa direzione. Si colloca come terza via tra la proposta di evoluzione dell’insegnante di sostegno di Dario Ianes, di cui ho già ampiamente discusso in vari articoli[4], che produrrebbe la scomparsa dell’attuale figura di insegnante di sostegno e la proposta di FISH e FAND la quale produrrebbe una iperspecializzazione di una figura di sostegno che non sarebbe più un insegnante come gli altri.
Nella proposta delle cattedre miste si prevede la possibilità, per gli insegnanti in possesso di titolo di specializzazione che lo desiderano, di svolgere parte del proprio orario come insegnanti curricolari e parte come insegnanti di sostegno.
Questa soluzione potrebbe indurre molti docenti a non abbandonare il ruolo di insegnante specializzato grazie alla possibilità di occuparsi anche delle discipline per le quali si sono laureati e per le quali hanno speso tante energie. Permetterebbe inoltre agli insegnanti di sostegno di essere più integrati nel gruppo dei docenti: un insegnante che dovesse svolgere entrambi i ruoli potrebbe infatti essere riconosciuto più facilmente come interlocutore dagli altri insegnanti curricolari e, quando è in classe come insegnante curricolare, potrebbe interagire meglio con gli insegnanti di sostegno. Sarebbe inoltre favorita la diffusione di pratiche di didattica inclusiva ed una maggiore attenzione agli allievi con difficoltà, grazie a questo interscambio di ruoli e ad una maggiore sensibilità fra tutti i docenti.
3° criticità: microesclusioni
La cattedra mista favorirebbe così la permanenza, almeno parziale, nel ruolo di insegnante di sostegno di persone altamente motivate e soprattutto risponderebbe ad un terzo elemento di criticità, che i proponenti la PdL C-2444 non hanno preso in dovuta considerazione: le quotidiane micro-esclusioni – come le definisce Dario Ianes[5] – derivanti dalla delega agli insegnanti di sostegno dei compiti di aiuto agli allievi con disabilità, che determinano ripetute richieste di uscire dalla classe o comunque disinteresse dei docenti curricolari rispetto al processo di apprendimento degli allievi diversamente abili, quindi l’abbandono dell’idea di integrazione e di inclusione.
Nella situazione delle cattedre miste ciò sarebbe più difficile: un insegnante di lettere difficilmente chiederebbe al collega di sostegno di uscire con l’allievo diversamente abile se nelle ore in cui lui stesso svolge il ruolo di sostegno afferma il diritto degli allievi diversamente abili a rimanere in classe. Verrebbe invece decisamente più facile chiedere ad una figura professionale che non può insegnare alcuna disciplina e che ha una laurea specifica che lo abilita solo per il sostegno, magari con ulteriore specializzazione sulla specifica disabilità, di prendersi carico delle difficoltà specifiche dell’allievo con disabilità. Il vero esperto è lui! L’iperspecializzazione della figura di sostegno farebbe sentire meno responsabili i docenti curricolari e non sarebbero certo i previsti 30 CFU conseguiti nell’ambito della pedagogia speciale a incidere, considerando l’incomparabile differenza con il lungo periodo di formazione specifico previsto per la figura di sostegno.
Salvatore Nocera, Luciano Paschetta e le associazioni FISH e FAND sono legittimamente preoccupate per le attuali criticità ma la soluzione che propongono rischia di essere peggiore del male: invece che alla stabilizzazione del sostegno potrebbe condurre, molto probabilmente, alla stabilizzazione dell’esclusione.
[1] Legge 107, 13 luglio 2015, art 1, Comma 181 c
[2] http://www.superando.it/2015/10/19/disinformazione-madre-di-notizie-e-giudizi-errati/
[3] http://www.superando.it/2015/10/22/sostegno-non-vi-e-nulla-di-medico-nel-ruolo-che-vogliamo/
[4] Riferimenti alla pagina documenti del sito www.claudioberretta.it
[5] IanesD, L’evoluzione dell’insegnante di sostegno, Erickson, Trento, 2014.
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