Le “competenze”, quale significato dare a questa parola?

Sento molti colleghi usare la parola “competenze”. Per indole e formazione sono abituato a sviscerare il significato di ogni parola facente parte di una frase.

Tanto per cominciare questa parola è al plurale, e già la cosa mi lascia perplesso.

Competenza in italiano ha due principali significati, può indicare sia la capacità di orientarsi in un determinato campo, sia la spettanza di un determinato compito. In ogni caso in entrambi i casi la parola non è usata al plurale. Si tratta quindi di un neologismo, o almeno di un nuovo significato?

In tal caso andrebbe definito, formalmente e con precisione estrema.

Sui vari documenti del MIUR e sui testi scolatici si può vagamente dedurre che tali “competenze” siano rappresentate dalla capacità di saper usare le conoscenze acquisite.

La logica ci dice quindi che le conoscenze della materia, comprese le nozioni, sono necessarie. Bisogna studiare.

Una volta acquisite le conoscenze, lo studente quindi dovrebbe essere guidato dal docente all’acquisizione delle “competenze”, dovrebbe saper risolvere qualsiasi problema catalogato gli sia già stato presentato.

In tal caso queste “competenze” non sarebbero altro che un ripetere un procedimento imparato, anche se eventualmente compreso, e non permetterebbero a priori di risolvere un nuovo problema che si presenti, che poi dovrebbe essere uno dei fini della conoscenza.

Già a questo punto dovrebbe apparire chiaramente che queste “competenze” altro non sono che uno specchietto per le allodole. Inoltre asservono diversi scopi che tra poco discuterò.

Prendo come spunto di discussione la matematica, se non altro perché è la mia materia.

È arcinoto che è la materia più ostica per la maggior parte degli studenti, benché ci sia chi non si mostri d’accordo, beninteso prima di esser stato messo alla prova.

I vari pedagogisti, formulatori di cosa e come si debba studiare nella scuola italiana tendenzialmente estremamente digiuni della materia, non sono in grado né di spiegarla, né di spiegare il perché lo sia, o semplicemente non vogliono farlo, perché in tal modo perderebbero tutta la loro poca autorevolezza, ammesso ne abbiano.

La ragione è la seguente: la matematica richiede uno sforzo logico e di immaginazione molto superiore a ogni altra materia, è una questione puramente aritmetica legata al numero di passaggi logici, formalmente corretti, concentrati in una seppur piccola proposizione.

Badate bene, la matematica che si vede nelle scuole non è che una piccolissima e semplice parte di quella nota agli studiosi di tale materia. Per quanto concerne la matematica è naturale, per chi la capisce, e quindi la conosce, comprendere come l’orientarsi rispetto ai problemi che si presentano non sia altro che la naturale evoluzione dello studio della stessa, uno studio fatto proprio di comprensione.

Non si acquisiscono certo le “competenze”, semplicemente si allena la mente, cosa che in realtà andrebbe fatta in ogni materia, unitamente all’approfondimento della stessa, al fine di rendere la persona matura, che altro non è che il vero scopo della scuola.

La capacità di risolvere problemi e la loro categorizzazione non sono altro che la conseguenza dello studio della matematica. Non c’è bisogno di progettare alcuno schema artificiale, bisogna semplicemente studiare, comprendere ogni singolo concetto e collegarlo logicamente agli altri, laddove possibile.

L’introduzione improvvisa di uno pseudo concetto quale quello delle “competenze” ha lo scopo di sminuire l’importanza dello studio, della figura del docente e di ridurre l’insegnamento a una routine collaudata, cosa tra l’altro antitetica nei confronti dell’inclusività della scuola per la stessa etimologia della parola, della libertà d’insegnamento del docente, del fatto che il pubblico è comunque variegato e il docente capace potrebbe essere portato a presentare, per una qualsiasi ragione, un argomento in un modo piuttosto che in un altro.

Abbiamo anche delle prove storiche del fatto che tali “competenze”, ammesso che appunto significhino qualcosa di sensato, non siano necessarie e forse anche controproducenti, infatti la scienza si è sviluppata benissimo anche senza tale fumosa parola.

Inoltre la scuola del passato era molto più affidabile dal punto di vista della preparazione degli studenti, come molti articoli contemporanei tristemente riportano (in sostanza si va verso un semianalfabetismo generalizzato, o forse già ci si trova in tale stato).

Questa parola, introdotta dal MIUR, è pedissequamente ripetuta dai vari dirigenti scolastici fedeli alla linea del Ministero. Bisogna fare lezione per “competenze”. A me sembra che questo sia soltanto un modo per rendere irrazionali l’insegnamento e la valutazione, in buona sostanza per non distinguere chi sa e chi non sa, sia tra i docenti che tra gli studenti, e che ha come fine ultimo l’appiattimento intellettuale del Paese.

Ogni volta che sento pronunciare questa parola, e che nessuno osa dire qualcosa (questo è il clima in cui ormai si svolgono molto spesso le riunioni) mi sento come il bambino della favola “I vestiti nuovi dell’Imperatore”.

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