In Italia le giovane donne laureate portano a casa a fine mese uno stipendio che è pari a quasi la metà dei laureati di sesso maschile, in media il 58% in meno: il divario è bene evidenziato nel Rapporto Ocse Education at a Glance 2024, che ha studiato in particolare la situazione dell’Istruzione in Italia.
Il paradosso è che in generale le donne sono anche quelle che ottengono risultati scolastici e universitari migliori rispetto ai maschi (addirittura in molti casi il divario si sta ampliando), ma quando entrano nel mercato del lavoro le stesse donne, di età compresa tra i 25 e i 34 anni, hanno molte meno probabilità di essere occupate rispetto agli uomini; il divario è generalmente più ampio per coloro che hanno un livello di istruzione inferiore a quello secondario superiore, più ristretto per coloro che hanno conseguito una laurea.
L’Ocse ha anche evidenziato che se da una parte la quota media dei giovani tra i 20 ei 24 anni che non hanno un lavoro, né frequentano un corso di istruzione formazione è diminuita dal 32% al 21% tra il 2016 e il 2023, dall’altra sempre le giovani di sesso femminile sono quelle che hanno meno chance di formazione e occupazione.
Nella fascia di età tra i 25 e i 29 anni, è ben il 31% delle donne che non studia e non lavora, contro il 20% degli uomini.
Sempre l’Ocse ha rilevato che l’istruzione dei genitori risulta avare un forte impatto sul rendimento scolastico dei figli: in Italia il 69% di chi ha più di 25 anni e che ha almeno un genitore con la laurea, ha conseguito la laurea (o un titolo equivalente) mentre il 37% degli adulti i cui genitori non hanno raggiunto titolo di studi superiori, non sono riusciti neppure a concludere le scuole superiori e ad ottenere la maturità.
È significativo che solo il 10% dei ragazzi con genitori senza un titolo di scuola superiore ha terminato l’Università.
Va ricordato, comunque, che la scuola rispetto ai divari italiani donne-uomini continua ad essere un’eccezione: le ultime rilevazioni nazionali ci dicono che le donne hanno superato l’82% di presenza tra gli insegnanti, quasi totalitaria (oltre il 99%) nella scuola dell’infanzia. Considerando che gli incentivi derivanti da funzioni aggiuntive o da collaborazioni continuative con la dirigenza (quindi chi fa parte dello staff del preside) superano raramente i 200-300 euro al mese e valgono indistintamente per tutto il personale, gli stipendi della scuola sono sostanzialmente similari, con pochissime differenze tra donne e uomini. Vale per i docenti e anche, seppure con stipendi più bassi, anche per il personale Ata.
Il divario stipendiale a fine mese rimane infatti legato quasi esclusivamente all’anzianità di servizio: a scuola, insomma, la presenza tra il personale di genere femminile o maschile non ha incidenza sugli stipendi.
È anzi significativo che tra i dirigenti scolastici da qualche anno il numero di donne ha superato quello degli uomini: si è passati, infatti, da un terzo di donne presidi (era questa la proporzione sino a pochi anni fa) agli attuali due terzi.
Donne che vanno a ricoprire un ruolo, dopo avere vinto il concorso per diventare preside, che assicura una remunerazione decisamente più alta di quella dei docenti: si parte, infatti, da circa 2.500 euro netti per poi salire progressivamente con l’anzianità di carriera, ma anche in base alla complessità delle scuole dove si presta servizio come capo d’Istituto.
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