L’acronimo STEM deriva dall’inglese Science, Technology, Engineering e Math che si riferisce alle discipline accademiche della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica.
In realtà non si tratta di una metodologia didattica e neanche di 4 discipline autonome ma di 4 discipline integrate in un nuovo paradigma educativo basato su applicazioni reali ed autentiche. Ciò che differenzia lo studio delle STEM dalla scienza tradizionale e dalla matematica è il differente approccio.
Viene mostrato agli studenti come il metodo scientifico possa essere applicato alla vita quotidiana. Le STEM consentono di insegnare agli studenti il pensiero computazionale concentrandosi sulle applicazioni del mondo reale in un’ottica di problem solving.
A tal riguardo si ricorda che un Rapporto 2018 sul Profilo e sulla Condizione Occupazionale dei laureati consentono di valutare le performance formative e occupazionali dei laureati magistrali dei percorsi disciplinari di ingegneria, geo-biologico, architettura, scientifico e chimico-farmaceutico, rispetto a quelle dei percorsi non STEM .
Tale rapporto che ha coinvolto oltre 73.000 laureati di primo e secondo livello (magistrali biennali e magistrali a ciclo unico) che hanno conseguito nell’anno 2017 un titolo universitario in un percorso STEM.
Per quanto riguarda la riuscita degli studi, nonostante un voto di laurea pressoché identico (102,4 su 110 contro 102,9, rispettivamente), i laureati STEM concludono gli studi in corso in misura decisamente inferiore: 44,1% contro 54,2%. I più regolari sono i laureati del gruppo geo-biologico (51,4%), all’opposto invece quelli dei gruppi architettura e ingegneria (rispettivamente 32,2 e 41,8%). Le donne STEM hanno un voto medio di laurea lievemente più alto (103,6 contro 101,6 degli uomini) e una maggiore regolarità negli studi.
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