È partita la campagna per la promozione delle erogazioni liberali alle scuole, secondo l’art. 145 della legge 107 del 13 luglio 2015, la cosiddetta “buona scuola”.
Si prospetta così la possibilità di vedere scuole collocate in territori prevalentemente abitati da famiglie di ceto medio alto, che già ora hanno dotazioni informatiche aggiornate, edifici in ottime condizioni e materiali didattici di ogni genere a disposizione -grazie ai generosi contributi volontari delle famiglie e alle cospicue tasse di iscrizione, mascherate da contributi volontari- che vedranno aumentare ulteriormente le loro risorse; e altre scuole, collocate in territori deprivati dal punto di vista economico e socio-culturale, che rimarranno nelle attuali condizioni di estrema difficoltà derivanti dal fatto di dover affrontare situazioni estremamente difficili senza risorse a disposizione.
Si tratta di uno degli aspetti più negativi di questa legge, contrastata fin dall’inizio nel modo della scuola e vissuta come una violenta imposizione istituzionale, che sta producendo i suoi frutti peggiori anche con il caos nelle nomine e nella mobilità degli insegnanti. A scuola iniziata ci sono scuole senza dirigente (con dirigente reggente), con vicepresidi nuovi (perché molti hanno usufruito dell’ultima possibilità per chiedere un trasferimento) con il 30-40% degli insegnanti ancora da nominare. E al danno si aggiunge la beffa di voler valutare gli insegnanti con modalità decisamente opinabili e controproducenti, visto che si tende a creare competizione dentro un gruppo di lavoro che dovrebbe cooperare. Nessun allenatore o datore di lavoro ragionevole creerebbe competizione all’interno di una squadra, riducendo così la qualità delle relazioni collaborative.
Le erogazioni liberali avrebbero dovuto eventualmente essere indirizzate agli enti locali in un fondo specifico per l’edilizia scolastica o ad un fondo nazionale per il finanziamento dei fondi d’istituto, ridotti a pochi spiccioli nel corso degli ultimi anni.
Ricordiamo infatti che, nelle ultime rilevazioni dell’OCSE, Education at Glance1, la scuola italiana risulta avere ricevuto una percentuale del 4% del PIL a fronte di una media OCSE del 5,2% con una riduzione dei finanziamenti del 14% dal 2008al 2013 e che l’Italia ha la percentuale più alta di giovani Neet (non impiegati né in formazione); superiamo anche la Turchia, il Messico e la Colombia.
Chi è alla guida di questo paese dovrebbe soprattutto ricordare che, secondo la nostra Costituzione, “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.” È quindi dovere della Repubblica garantire questo diritto a prescindere dai possibili “ostacoli di ordine economico e sociale”, evitando soprattutto di rafforzare privilegi e disuguaglianze come avverrà con l’idea delle erogazioni liberali destinate a singole scuole.
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