Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, intervenendo al Tg2 Post è stato molto chiaro: “Il problema è capire se continuiamo a fare tre, quattro volte le guerre puniche nel corso di dodici anni di scuola o se casomai le facciamo una volta sola ma cominciamo a impartire un tipo di formazione un po’ più avanzata, più moderna a cominciare dalle lingue, dal digitale. Serve formare i giovani per le professioni del futuro, quelle di digital manager per la salute, per l’energia per esempio. Lavori che nemmeno esistono oggi. Cosa hanno studiato a scuola i miei figli? Le guerre puniche, come me che ho 56 anni ma che appartengo alla generazione carta e penna”.
E si vede, si potrebbe dire, anche perché se la prende proprio con le Guerre puniche, nel corso della quali, nella Seconda in modo particolare, si insinua la figura di Archimede che di tecnologia era accademico e premio Nobel dei suoi tempi.
Lui vorrebbe più digitale e più lingue, materie più moderne come se la storia fosse obsoleta, dimenticando però che proprio l’ignoranza di certi avvenimenti storici induce poi, come faceva osservare l’ex ministra Azzolina, gruppi di no-vax a sfilare dietro a fili spinati in somiglianza degli internati nei campi di concentramento nazisti, come se la Shoah fosse stata una passeggiata e il fascismo un evento con le sue positività.
Un tecnico che non sa la storia? Per il ministro non ha importanza, come del resto è avvenuto già quando proprio lo studio della storia fu tragicamente ridotto, insieme a tutte le altre storie, dalla filosofia all’arte alla letteratura.
Forse bisognerebbe invece implementare lo studio della “storia delle scienze” e non già perché bisogna ai tecnici, ma perché il cittadino a scuola si formi anche con queste consapevolezze, queste conoscenze ben spendo che la tecnologia ha bisogno soprattutto una sua etica per evitare imbrogli, fughe in avanti adattate a esigenze di profitto e di controllo.
La democrazia non si regge sulla tecnica, ma sulla sapienza e sulla verifica degli atti di governo per poi eleggere con giudizio e conoscenza i parlamentari e affinché aberrazioni, come la famigerata legge elettorale Acerbi in epoca fascista insegna, ma anche come Cicerone dimostrò a proposito delle rapine di Verre in Sicilia.
E anche le verrine si studiano tre volte a scuola, non quattro come sbaglia Cingolani, similmente alle Guerre puniche.
Prendersela con la storia, per dimostrare il disastro della nostra scuola, equivale un poco a parlare di “affettività” come fa il ministro Bianchi, così affettuoso da tagliare lo scritto agli esami di Stato, preparandosi a tagliarlo anche in avvenire, al di là della contingenza del Covid.
Il punto è che la scuola, come il calcio, è stata frequentata da tutti e tutti si sentono in dovere di dire la loro, persino il ministro Cingolani, dimenticando che la squadra ha regole da rispettare, tempi da seguire, manovre da studiare e poi stanchezze, scoraggiamenti, distrazioni come accade in qualsiasi istituzione del mondo.
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