L’episodio di Giulia, la ventenne universitaria dell’Università di Bologna, che ha interrotto la lezione di filosofia, come forma di lotta contro il green pass, mi ha fatto venire in mente i miei esordi universitari a Padova. Proprio alla facoltà di filosofia.
E ricordo che molte lezioni furono interrotte da studenti che parlavano “a nome del popolo”, mentre invece erano portatori di una ideologia di estrema destra o di estrema sinistra. Ci furono poi quelli che passarono dalle parole ai fatti, con veri atti di violenza.
Ieri queste convinzioni erano figlie delle ideologie del ’68, oggi dall’uso, non sempre mediato, dei social, i quali danno l’illusione che tutti possano tutto, che le conoscenze e le competenze siano tutte strumentali, che non esista autorevolezza, che gli insegnanti, i medici, gli scienziati siano nelle mani di qualche Leviatano, per riprendere Hobbes. Persino Papa Francesco. E la democrazia solo una maschera di una dittatura. Non accorgendosi che, se fossimo davvero in una dittatura, nessuno potrebbe nemmeno pensare e dire che siamo in una dittatura.
E’ possibile dire qualcosa di più sulla differenza tra il contesto psicosociale dei miei anni universitari e quelli di oggi? Per capire quel periodo, basterebbe rileggersi i testi delle canzoni della cosiddetta beat generation. Con forti parole di protesta per chiedere la liberazione dal passato, quindi dal principio di autorità ed obbedienza. Pretese che sappiamo essere state per lo più esagerate ed ingenue, ma con risvolti, per alcuni, anche tragici. Pagine dure, drammatiche, pensando, tra i diversi casi, all’assassinio di Aldo Moro e della sua scorta nel 1978.
Oggi, invece, non viviamo l’epoca delle grandi ideologie, cioè di queste visioni del mondo, soprattutto dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989 e il globalismo dagli anni novanta in poi. Senza dimenticare l’esplosione di internet e l’invasione social, i quali, con la compressione spazio-tempo, danno l’illusione che tutti possano dire tutto, senza filtri qualitativi.
La nostra socialità spezzata in frammenti è figlia naturale di questo nostro nuovo mondo. Tanto che ognuno ha finito per sentirsi immacolato solo ai propri desideri, bisogni, interessi. Per cui, la società è solo una somma di individualità, anche di solitudini, ma senza pensieri lunghi. Ieri, bene o male, si studiava il passato sapendo che era una base per capire il futuro, oggi tutto è più difficile. Tanto che non si studia la storia, al massimo si seguono alcuni paragrafi.
E lo studio non è sempre maturazione di una coscienza critica, capace di problematizzare opinioni e certezze, con uno spirito della ricerca che sia vincolata alle domande di verità, giustizia, bene. Basta seguire, come dicevo, la logica dei social, che si consuma tutto sulle opinioni non suffragate, sulle tesi non argomentate.
Oggi rischiamo di abitare cioè in un tempo sbriciolato, ma senza speranza. Con grandi temi sul tappeto che tolgono il respiro, come la crescita delle ingiustizie, l’angoscia per la crisi ambientale, un mercato del lavoro globale che sta sfarinando profili personali e sociali, linee demografiche che dicono che le società occidentali saranno quasi solo di vecchi, con le migrazioni che sconvolgeranno, giocoforza, i nostri equilibri sociali.
Il calo delle nascite e il dileguarsi dei coraggiosi che mettono al mondo figli non ci dicono forse qualcosa? Allora la rabbia, anche di questi mesi, forse solo in apparenza è dovuta ai vaccini e al green pass. Solo in apparenza. Quale mondo consegniamo ai nostri figli e nipoti? Questa la vera domanda.
Ma, come sempre nella storia, le criticità apriranno nuove porte, nuove idee, nuovi equilibri, nuove opportunità. E la speranza è e sarà legata a quel pensiero positivo che sapremo maturare e comunicare tra di noi, giovani e meno giovani. Magari vivendo e sperimentando forme di comunità e di condivisione, al di là delle polemiche, delle vecchie o nuove ideologie, delle troppe logiche del sospetto. Saranno, come sempre, le persone a segnare la differenza.