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Le impronte digitali ai docenti: alcune amare considerazioni

L’insistere del Ministro Bussetti sulla presunta e qui denegata necessità di raccogliere le impronte digitali degli insegnanti induce a brevi, stupite, amare considerazioni.

Preliminarmente un cenno alle ragioni addotte. Sono cambiate: non è più per verificare la puntualità sul posto di lavoro che tale necessità si imporrebbe, ma per una questione “di sicurezza”. Posta così la motivazione appare nebulosa. Sicurezza di chi e contro chi? Forse il Ministro teme che gli insegnanti aggrediscano i loro alunni?

In verità le cronache attestano che di solito avviene il contrario, ma non per questo Bussetti propone di prendere le impronte agli studenti,  anche perché sa bene che questi, stavolta con qualche ragione, darebbero luogo a un nuovo ’68.

Forse teme che usciti da scuola i docenti si dedichino  a scippi e a furti con scasso? Considerata l’entità dei loro stipendi questa ipotesi potrebbe essere verosimile, ma né la statistica né la cronaca nera la confortano.

Quello che invece è certo è che grazie a questo provvedimento il capitale di simpatia rapidamente accumulato dal Ministro per la sua provenienza dai ranghi degli insegnanti e per la dichiarata ostilità alla legge 107 scemerà molto in fretta. E giunti a questo punto ci chiediamo: perché non lasciare in eredità l’onere di una iniziativa punitiva come questa alla Sinistra, nel caso in cui vincesse le prossime elezioni e collocasse nuovamente la Fedeli, o meglio ancora una Boldrini,  in viale Trastevere?

Perché confermare in modo così marchiano l’antico pregiudizio della Destra contro chi sale in cattedra? Signor Ministro Bussetti, le abbiamo già dimostrato circa un anno fa che i professori non sono tutti comunisti. Cosa dobbiamo fare di più, per convincerla?

Alfonso Indelicato

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