I due, racconta il Sole 24Ore, erano stati dichiarati colpevoli di danneggiamento e condannati a un anno di carcere dal tribunale per i minorenni di Roma, pena poi ridotta in Appello. Il gesto dei due aveva comportato «disagi e turbamento» tra gli studenti perchè l’atto di vandalismo «aveva provocato seri danni anche strumentali all’edificio scolastico», tanto che le lezioni erano proseguite in un’altra scuola fino a fine anno. Questo aveva spinto i docenti a tenere riunioni con gli alunni della scuola, per parlare dell’accaduto.
E, in quelle occasioni, si erano raccolti indizi sulle responsabilità delle devastazioni. Presentando ricorso in Cassazione, i difensori dei due ragazzi, avevano contestato proprio «l’inutilizzabilità delle dichiarazioni e delle confidenza acquisite dal personale docente». I giudici della seconda sezione penale della Suprema Corte hanno però sottolineato che «le riunioni con gli alunni non avevano lo scopo di ricercare i colpevoli, essendo gli organi di polizia già impegnati nelle indagini, ma quello di stimolare una riflessione sull’accaduto, sollecitata dagli studenti», che «liberamente» e «spontaneamente» avevano identificato i colpevoli.
Dopo quelle testimonianze, per la gravità degli elementi raccolti, i docenti avevano fatto relazioni dettagliate consegnate al capo d’istituto, poi allegate agli atti del processo. «Spetta al giudice di merito – ha sottolineato la Cassazione – valutare la portate» della affermazioni degli studenti tenendo conto delle circostanze in cui sono state rese. Ed è stato correttamente fatto. Tra l’altro, spiega la Cassazione, quelle relazioni «possono essere legittimamente valutate ai fini della decisione, quando siano stati utilizzati nel corso del dibattimento»
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