Si è parlato molto negli ultimi due anni, in relazione alle ben note vicende previdenziali dei lavoratori della scuola appartenenti alla Quota 96, di una presunta disparità fra i nati nell’anno 1952. Nelle lotte portate avanti dal Comitato Civico «Quota 96», apripista indiscutibile lungo tale china, ha assunto risonanza politico-giuridica la rivendicazione della peculiarità del Comparto Scuola, che ha tempistiche sue e ordinamenti propri regolati da leggi speciali che differiscono dalle leggi generali della Pubblica Amministrazione. Il governo Monti, disattento e smemorato, ha dimenticato che l’anno scolastico non coincide con l’anno solare e che si colloca a cavallo tra due anni solari. Il problema della continuità didattica, infatti, impedisce di considerare a chi vi lavora la conclusione di ogni periodo (tanto più l’uscita dal servizio) con l’anno solare. Come potrebbe mai un insegnante abbandonare la sua classe il 31 dicembre? Eppure, quella che dovrebbe essere una verità elementare, è stata negata ripetutamente, con buona pace di ogni diritto acquisito.
La legge 449/1997, all’articolo 59, comma 9, recita così: «Per il personale del comparto scuola resta fermo, ai fini dell’accesso al trattamento pensionistico, che la cessazione dal servizio ha effetto dalla data di inizio dell’anno scolastico e accademico, con decorrenza dalla stessa data del relativo trattamento economico nel caso di prevista maturazione del requisito entro il 31 dicembre dell’anno». Si tratta di una precisazione normativa non irrilevante di cui ha tenuto conto il giudice del lavoro di Siena, nel suo provvedimento del 17 agosto 2012, quando ha ribadito a chiare lettere questa peculiarità statuita da leggi dello stato tuttora in vigore – fra cui l’art. 1 del D.P.R. 351/1998 – e quando ha chiesto di eccepire la incostituzionalità della legge che discrimina questa categoria.
I requisiti per il pensionamento nella scuola, in buona sostanza, si possono maturare entro il 31 dicembre dell’anno solare (ecco perché si parla di «prevista maturazione del requisito»); ma il pensionamento effettivo, come sempre è accaduto in questo particolare settore, decorre dal 1 settembre, cioè dalla «data di inizio dell’anno scolastico e accademico». Il che vuol dire, per la scuola, dal 1 settembre, e per l’Afam – l’Alta formazione artistica e musicale, che comprende le accademie e i conservatori – dal 1 novembre. Tutti i patronati fanno i loro calcoli con questi dati ben precisi. Basta andare a leggere le circolari del Miur degli ultimi anni per averne chiara e precisa conferma. Stupisce, pertanto, che qualche dubbioso e inesperto educatore abbia potuto rimettere in discussione, dopo un anno e mezzo di puntualizzazioni sul piano giuridico, un principio elementare sancito specificamente e per il quale il Comitato Quota 96 si sta battendo energicamente – tanto più che la deputata democratica Manuela Ghizzoni lo ha esplicitamente richiamato nelle sue proposte di legge, ultima in data la C249, chiarendo che non esiste alcuna disparità fra i nati nel 1952 secondo il principio normativo regolato dalla summenzionata legge 449/97.
Leggi ordinarie e leggi speciali: l’intervento del giudice Imposimato
I giuristi insegnano che una norma generale non può prevalere su una norma speciale – in base al principio «Lex specialis derogat generali» – e che una legge generale, destinata a una generalità indifferenziata di casi, viene sempre derogata da una legge speciale che tiene conto di situazioni particolari, meritevoli di una disciplina ad hoc. Se così non facesse, la legge generale sarebbe viziata da irragionevolezza e illogicità e quindi incostituzionale. È singolare che il Comparto Scuola, che è sempre stato oggetto di una disciplina speciale in materia previdenziale, venga fatto rientrare nella disciplina generale dalla ‘Riforma Fornero’ senza che nulla sia stato modificato rispetto al passato. Inoltre una legge non può incidere su un diritto quesito, cioè già maturato anche se non ancora esercitato. Se una legge, come quella che regola il pensionamento del settore scolastico, ha attribuito a un soggetto un diritto soggettivo, un diritto che è entrato a far parte del suo patrimonio giuridico, una legge successiva non glielo può togliere perché si tratterebbe di una situazione sostanzialmente equiparabile ad un esproprio. Se ne ricava pertanto, stando ai principi generali del diritto e alla giurisprudenza della Magistratura amministrativa, che se ci sono principi generali che disciplinano la materia della pubblica amministrazione e norme speciali che riguardano la Scuola, prevalgono le norme speciali rispetto a quelle generali, di cui le seconde sono complementari.
Su questo punto controverso è intervenuto più volte il prof. Ferdinando Imposimato, magistrato di vaglia e Presidente onorario della Corte di Cassazione, il quale ha ribadito che la data unica, e apparentemente equanime, del 31 dicembre 2011, stabilita dalla ‘Riforma Fornero’, non ha tenuto conto di questa specificità, lavorativa e pensionistica, del Comparto Scuola, specificità che è basata, per garantire il buon funzionamento dei processi educativi e didattici, non sull’anno solare ma sull’anno scolastico. I pensionamenti del Comparto Scuola sono infatti regolati ancora, non essendo stato abolito, dall’art. 1 del D.P.R. 351/1998, che vincola la cessazione dal servizio «all’inizio dell’anno scolastico o accademico successivo alla data in cui la domanda è stata presentata». Questo vincolo, penalizzante per i suddetti lavoratori, ha come contrappeso una seconda norma, anch’essa tuttora vigente, l’articolo 59 della Legge 449/1997 già citata. Eppure, proprio in virtù di queste due norme, il personale scolastico che poteva vantare requisiti maturabili al 31 dicembre 2011 era già in pensione o avrebbe comunque potuto ottenerla indipendentemente dalla ‘norma di salvaguardia’ della ‘Riforma Fornero’. Quella ‘norma di salvaguardia’, per avere effetto sui lavoratori della scuola, avrebbe dovuto preservare – in applicazione dell’art. 1 del D.P.R. 351/1998 e dell’art. 59 della Legge 449/1997 – il personale che maturava i diritti nel corso dell’anno scolastico 2011/2012, e comunque entro il 31 dicembre 2012. Trascurando di applicare, come sarebbe stato giusto e costituzionalmente legittimo, le norme speciali vigenti per il Comparto Scuola, la ‘Riforma Fornero’ ha finito per produrre una «grave ingiustizia» e costretto il Miur a un «dettato», come lo ha definito Imposimato, «schizofrenico».
La data del 31 agosto, nella scuola e nell’Afam, vale 31 dicembre
La data del 31 agosto, citata spesso da politici, sindacalisti e patronati, attesta un termine ad quem, il termine al quale bisogna riferirsi per far capire che finisce l’anno scolastico dato che il 1 settembre ne inizia uno nuovo. Ma la legge 449/1997, come già specificato, per il solo Comparto Scuola contempla la data del 31 dicembre per la «prevista maturazione del requisito». Ed è sempre stato così. È possibile che chi non lavora nella scuola (e nell’Afam) possa trovare farraginoso questo doppio termine temporale. Tuttavia non è così difficile da introiettare. Nella scuola si va in pensione il 1 settembre di ogni anno scolastico (nell’Afam il 1 novembre) ma è data possibilità ai nati in uno stesso anno, come ad esempio ai lavoratori del 1952, siano essi dirigenti, docenti o Ata, di poter «maturare» il requisito a pensione ENTRO l’anno solare, ovvero ENTRO il 31 dicembre, per evitare che quelli nati DOPO il 31 agosto rimangano fuori rispetto ai nati negli otto mesi precedenti. Il legislatore ha inteso così salvaguardare tutta la fascia degli aventi diritto nati nello stesso anno. Nel pubblico impiego, invece, non è così e si va in pensione il giorno dopo la maturazione del requisito. Pertanto, quando nei proclami o negli articoli di giornale si legge la fatidica data del 31 agosto, non bisogna pensare, «sic et simpliciter», che la maturazione di chi è prossimo alla pensione ma è nato DOPO quella data sia tagliato fuori. Questo non è solo un pregiudizio diffuso ma un superficiale travisamento della legislazione scolastica. Perché 31 agosto, per i pensionamenti scolastici, vale 31 dicembre. Sulla base di questo diritto la ‘Riforma Fornero’ ha commesso un errore tecnico clamoroso, errore che è alla base di vari ricorsi avviati da quasi tremila professionisti della conoscenza e oggi all’esame della Camera per una sua eventuale correzione volta ad applicare correttamente quella legge alla scuola e all’Afam.
Giuseppe Grasso
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