I lettori ci scrivono

Le petizioni sui social non servono a niente, si scenda in piazza

Ci sono ancora lavoratori della scuola che credono che si possano modificare norme, articoli di legge, commi, Decreti Legge con petizioni sui i social, noi in passato abbiamo promosso petizioni o appoggiato petizioni, ad esempio quella contro le classi pollaio e contro il DvL 36 della scorsa estate.

Abbiamo sbagliato. Le petizioni sui social non servono a nulla, a volte servono solo al gruppo o alla persona che le propone per farsi un po’ di pubblicità e alle persone che firmano danno l’illusione che con una firma apposta comodamente, quanto chiedono possa realizzarsi, generalmente sono richieste specifiche che riguardano gruppi di docenti e ATA, raramente problemi generali come il rinnovo del contratto, la violenza nelle scuole, le classi pollaio,  riforme che riguardano tutti.

Già mi aspetto, quando il contratto sarà firmato, la solita petizione contro l’aumento  che sarà miserrimo o per il ritiro della firma da parte dei sindacati ( già è avvenuto nel 2018).

Tanto premesso, SBC non proporrà più da questo momento petizioni sul suo gruppo né appoggerà qualunque petizione da qualsiasi parte essa provenga, associazione, gruppo social, sindacato anche se ne condivide il contenuto, ovviamente gli iscritti a SBC sono liberi di fare quel che ritengono opportuno fare.

Non pubblicheremo o non faremo propaganda a nessuna petizione social, anzi crediamo che questo strumento man mano che passa il tempo non solo stia perdendo efficacia ma costituisca spesso un alibi al disimpegno di docenti e ATA.

Crediamo invece che i social non debbano proporre dei surrogati alla protesta, ma spingere e organizzare la mobilitazione che noi crediamo sempre necessaria, una protesta che si esplicita non nelle piazze virtuali ma nelle piazze reali delle città, presse le Prefetture, gli USR, gli AT o a Roma presso il Ministero con adesioni a forme di mobilitazione o con lo sciopero, parola sconosciuta o rifiutata dagli insegnanti e in particolare dagli ATA italiani ma molto praticata all’estero, ad esempio in Francia.

Chi pensa di cambiare le cose con le petizioni sui social noi crediamo che confonda il sogno con la realtà.
Per cambiare bisogna dimostrare che il problema esiste e per fare questo bisogna che l’insegnante e l’ATA si renda visibile con il suo corpo, non con la sua ombra, con la sua voce di protesta non con il lamento o la scomposta invettiva su un social.

Bisogna uscire dai social e prendere atto che chi non lotta è sempre un perdente anche se partecipa a una petizione sui social che raggiunge 100.000 firme.

Libero Tassella (Scuola Bene Comune)

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