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Le prove Invalsi non bastano. In Italia manca un sistema di valutazione di docenti, presidi, personale e scuole

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La scuola è ritornata sulle prime pagine dei giornali e nelle diverse news.

Il motivo è legato alla pubblicazione dei dati Invalsi, nel mentre si stanno completando gli esami di maturità, dopo la conclusione di quelli di terza media, con risultati che già conosciamo. Cioè la totalità di promossi, a parte rare eccezioni.

Da un lato, quindi, le carenze emerse nelle prove Invalsi sugli apprendimenti, e dall’altra una situazione che sembra tutta rosea sugli studenti in termini di capacità, di comprensione, di preparazione di base.

Il rimando, lo sappiamo, e non è cosa da poco, è a questi due anni e mezzo di didattica a distanza, o integrata con periodi in presenza.

Per cui nemmeno i salti mortali di tanti bravi docenti sono riusciti a recuperare situazioni critiche.

“Un maturando su dieci ha le competenze di uno studente di terza media”; “il dieci per centro dei maturandi non raggiunge le competenze base”; “Uno studente su due impreparato, in matematica, italiano, inglese”: sono alcuni dei titoli.

E meno male che sono ritornate le prove scritte, sapendo le diverse abilità che vengono richieste, e l’importanza di svilupparle entrambe, assieme ad altre.

Purtroppo, sono rimasti i commissari interni, mentre, come è noto, è giusto far comprendere ai nostri ragazzi che è bene confrontarsi, come avverrà nella vita, con commissari esterni, che non li conoscono, che puntano a verificare le abilità reali, condite con conoscenze, competenze, capacità.

Prove, cioè, effettive di maturità alla conclusione di un percorso di studio, come si diceva un tempo.

Altrimenti, meglio abolirli questi esami, e dirottare i tanti milioni di euro impèegnati per migliorare la didattica, il riconoscimento economico dei docenti, le nostre strutture scolastiche.

Se noi togliamo, cioè, l’ansia che sempre accompagna queste prove, non resta poi molta sostanza, sul piano didattico e culturale, a questi esami.

In altre parole, credo sia arrivato il momento di chiedersi se davvero li vogliamo tenere, questi esami. Non basta più il vecchio mito del valore legale del titolo, nemmeno i soli ricordi di genitori e nonni sugli aspetti psicosociali, cioè l’esame finale come cruna dell’ago tra adolescenza e giovinezza.

Ma qui il discorso prende aspetti più generali che riguardano il sistema scuola nel suo complesso, viste le criticità più volte denunciate.

Qui è il sistema scuola che deve interrogarsi.

La scuola, se ancora come Paese vogliamo credere ed avere un futuro, deve diventare invece la notizia principale, la più importante preoccupazione, perché riguarda, appunto, il nostro futuro.

La scuola oggi, rispetto al passato, è l’unico momento universale di questi nostri ragazzi. Con la crisi delle famiglie e delle tradizionali agenzie educative, la scuola oggi non adotta più il metodo autoritario della trasmissione delle sole conoscenze, ma ogni giorno si impegna a prendersi cura dei propri allievi, cercando non solo la mera ripetizione, ma la comprensione. Sapendo poi del sempre valore aggiunto della circolarità relazionale.

Dunque, se i dati Invalsi e i risultati degli esami di maturità hanno portato in primo piano valutazioni negative, le prime, ed esagerate, le seconde, questo ci deve portare a ripensare l’intero percorso culturale, a considerare che i risultati, come sempre, dicono molto sulla qualità dei percorsi, senza nascondersi dietro il nozionismo che tanto piace a chi invoca il tempo passato.

Ci vorrebbe un cambio di marcia nel sistema scuola, per riconoscere ai tanti docenti italiani, imbrigliati dal finto egualitarismo anche stipendiale, il loro valore. Perché tanti e tanti di loro sono davvero dei maestri e delle guide positive per i nostri studenti, a parte situazioni critiche da tutti conosciute ma, sino ad oggi, non risolvibili sul piano sindacale.

Che cosa manca in Italia? Manca un sistema di valutazione dei docenti, dei presidi, del personale, delle singole scuole. Non bastano le sole prove Invalsi sugli apprendimenti. E non è più possibile un sistema di reclutamento del personale centralizzato, mentre le scuole tutte devono diventare scuole delle comunità locali.