La strumentalizzazione che in questi giorni gli organi di informazione stanno facendo dei dati Invalsi riportati da ISTAT è viziata dal conoscere l’effettivo valore (o disvalore) di queste prove e soprattutto dei criteri che le animano.
Infatti nei primi anni della loro somministrazione era stato detto, sia ai docenti e agli addetti alla scuola che all’opinione pubblica, che avrebbero dovuto essere uno strumento per valutare il “sistema scuola” e dare un input ed un feedback agli istituti per operare in vista di un miglioramento degli apprendimenti.
Ora questa visione non implicava un giudizio sui singoli appartenenti ad un ordine scolastico o ai singoli alunni ma voleva essere una descrizione oggettiva di problemi da affrontare. Questa logica è sembrata a molti addetti ai lavori come una modalità attraverso cui approntare, preparare percorsi mirati ed efficaci a partire dalla condizione di partenza e sta qui problema.
Ciò che ho letto in questi giorni è solo e solamente una accusa pesante, ingiustificata e bieca alla scuola, ai suoi addetti ed agli studenti che tutti i giorni usufruiscono di questo servizio.
Infatti il “puro dato numerico” separato da un contesto e disumanizzato non crea altro che disaffezione verso questo tipo di valutazione e quindi non darà gli effetti sperati né in termini di un miglioramento della situazione generale né garantirà una maggiore motivazione verso cambiamenti positivi. In questi anni continuare a pubblicare dati numerici che mettono a confronto il Nord con il Sud che cosa ha portato? Non sarebbe meglio mantenere questi dati statistici all’interno dei singoli istituti e ragionare in termini di miglioramento all’interno di un contesto?
Mi spiego: se una scuola secondaria di primo grado di qualunque zona del Paese ha un risultato dove il 35% dei suoi studenti evidenzia difficoltà in ambito linguistico e l’anno successivo, dopo aver approntato qualche attività per incentivare lettura e comprensione, i risultati sono del 33% di ragazzi in difficoltà non sarà questo il dato importante? Quello su cui effettivamente e concretamente lavorare? Che cosa quindi “sbandierare” a livello giornalistico?
Stessa cosa per le scuole superiori: come è possibile comparare un liceo ad un istituto professionale?
Ovvio che i “poveri” ragazzi e ragazze degli Istituti Professionali (di cui dicono le statistiche avremo tanto bisogno in futuro per implementare quelle professioni che ormai non sono più appetibili ma dannatamente necessarie) risulteranno sempre perdenti su prove calibrate per … tutti?
E poi chi sono questi “tutti” dato che il punto di partenza (ma anche di arrivo di un percorso scolastico) è diverso?
La modalità con cui queste prove vengono utilizzate sta diventando scandalosa ma soprattutto inefficace e demotivante: se non si correrà presto ai ripari con visioni costruttive e non punitive non solo, non ci saranno gli auspicati “miglioramenti”, ma queste rimarranno un semplice grido inascoltato nel buio di cui nessuno si interesserà più.
Rita Ferri
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