“Credo che sull’eccessivo peso delle prove Invalsi in sede didattica, ci siano anche delle responsabilità degli organi collegiali della scuola e dei singoli docenti”.
A dirlo è stato Reginaldo Palermo, vicedirettore della ‘Tecnica della Scuola’, nel corso del Convegno “Dal NO ai Comitati ‘PREMIALI’ all’alternativa alla ‘RIFORMA’ Renzi“, organizzato dall’Unicobas e svolto a Roma venerdì 29 aprile.
“Perchè – ha detto il vicedirettore e dirigente scolastico emerito – non sta scritto da nessuna parte che questo genere di prove debbano essere messe sull’altare. E che debbano avere sempre un alto rilievo, siano venerate e considerate come il nuovo vangelo della scuola. Nella scuola elementare, dalle mie parti, si inizia a far esercitare gli alunni sin dai primi giorni di aprile, a volta già da marzo sulle prove Invalsi: ciò rappresenta una follia da un punto di vista pedagogico“.
Certamente, le prove Invalsi meritano il giusto rilievo: rappresentano, secondo Palermo, “uno dei tanti strumenti che si possono eventualmente utilizzare nella scuola per valutare gli alunni”. A seconda dei casi, delle classi, dei contesti socio-culturali territoriali, “possono essere utili, possono non servire a niente, a volte sono anche dannose. Ma purtroppo nei nostri istituti questo tipo di dibattito è del tutto assente”.
Il vicedirettore della Tecnica della Scuola, in sintesi, auspica un approccio meno aprioristico nei confronti delle prove Invalsi. La loro utilità e collocazione didattica, infatti, andrebbe definita a livello di singolo istituto. E non calata dall’alto. Ma i primi a tollerare questo ‘metro’ sono i docenti.
Se, almeno, gli organi collegiali, in particolare il Collegio dei docenti, si facesse carico di tarare, di anno in anno, le modalità di approccio verso questo genere di verifiche, probabilmente anche i singoli insegnanti avrebbero un approccio più distaccato e razionale nei confronti delle prove standard nazionali.
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