Manganelli contro studentesse e studenti che manifestavano pacificamente. Questo è accaduto il 23 febbraio a Pisa. Una violenta e brutale repressione della polizia contro giovani inermi che condanniamo fortemente e che riteniamo frutto di un clima antidemocratico teso a limitare ogni forma di dissenso, soprattutto se chi dissente, a volto scoperto, chiede che si metta fine alla guerra e alla strage perpetrata da Israele nei confronti del popolo palestinese.
A lasciare ancora più sgomenti è il tentativo da parte delle forze dell’ordine pubblico e dei partiti della maggioranza di criminalizzare studenti, molti ancora minorenni, che vogliono fare sentire la propria voce e riconquistare spazi di partecipazione democratica, spinti dalla preoccupazione per il loro futuro ad agire in un clima politico teso a reprimere ogni forma di libertà di espressione.
Oggi come ieri. Non dimentichiamo, infatti, l’esordio di questo Governo. Era l’ottobre del 2022 quando il manganello fu usato contro un centinaio di studenti universitari avvicinatisi a mani nude all’ingresso della facoltà di Scienze Politiche alla Sapienza di Roma, chiedendo di entrare, nel giorno in cui Giorgia Meloni teneva il suo primo discorso da premier alla Camera. In quel discorso la Presidente del Consiglio diceva di “provare un moto di simpatia per chi scende in piazza a contestare questo governo”, e auspicava un clima di pacificazione nazionale dando tutta la colpa “all’antifascismo militante”.
La premier, cioè, diceva ai ragazzi “siete liberi di manifestare”, proprio mentre davanti all’università ragazze e ragazzi venivano picchiati, con un atteggiamento che potremmo definire bipolare, con il quale il Governo da un lato usa la forza e dall’altro usa parole “rassicuranti” per tranquillizzare il popolo.
Un clima surreale che troppo spesso anche i mass-media contribuiscono a creare, allineandosi nel proporre uno schema ormai collaudato, manicheo, in cui i buoni, i “nostri”, sono i depositari dei valori di libertà e democrazia occidentali fondativi del patto atlantico, mentre tra i cattivi, dalla parte di autocrati e dittatori, vanno messi non solo tutti coloro che provano a ragionare sulle responsabilità storiche, economiche, politiche e culturali che hanno determinato le guerre contemporanee e sui processi che le hanno prodotte, ma chiunque chieda di lavorare per costruire la pace. Neanche Papa Francesco – che legge la situazione attuale come una “terza guerra mondiale a pezzi” e che chiede ostinatamente che tacciano le armi, è esente da critiche di questo tipo.
Nessun ragionamento su quanto sta accadendo, sulle guerre in Europa, Medio Oriente e Africa in cui è la popolazione civile a pagare il prezzo più alto. In uno “stato di guerra” non ci può essere spazio per politiche di sviluppo, di redistribuzione delle ricchezze fra le classi sociali e fra i popoli.
Tale contesto è l’humus ideale perché, nell’indebolimento progressivo delle istituzioni democratiche, attecchisca e si diffondano l’autoritarismo, la xenofobia e il razzismo.
I conflitti russo-ucraino e israelo-palestinese mettono drammaticamente in crisi le speranze e le aspirazioni di milioni di giovani, nel momento di maggiore consapevolezza della crisi ambientale e climatica.
Questo è il segnale che perviene dalle manifestazioni degli studenti, di questa “generazione X” che vuole costruire il proprio futuro in pace e nel ripudio della guerra.
La Scuola, nonostante i pesanti tagli e le controriforme di cui è stata oggetto, continua a conservare il ruolo educativo e civico assegnatole dalla Costituzione e a rappresentare il luogo di esercizio della democrazia: qui studentesse e studenti imparano a confrontarsi, a esprimere liberamente la propria opinione, a dibattere su avvenimenti socio-politici e a leggere criticamente il reale, attraverso un dialogo costruttivo, senza meccanismi repressivi.
Non è accettabile limitare gli spazi democratici e la libertà di espressione, come è accaduto a Modena o in occasione dell’occupazione del Liceo Virgilio di Roma, con un rigore che non è stato usato contro i “camerati” riunitisi ad Acca Larenzia né quando a manifestare senza autorizzazione è stato il popolo come quelle dei “trattori”. Con loro il dialogo alla presenza di rappresentanti dello Stato. Con gli studenti il linguaggio dei manganelli.
Abbiamo ancora vive le ferite dei fatti di Genova, della Diaz, di Bolzaneto. Sentiamo forte l’esigenza di far sentire il nostro dissenso contro le politiche belliciste di questo governo e la nostra solidarietà al popolo palestinese e a tutte le popolazioni civili vittime della guerra. Lo abbiamo fatto sabato tra le vie di Catania, lo faremo ogni volta che sarà necessario.
Noi donne e gli uomini de “Le Radici del sindacato”, area programmatica in Flc Cgil di Catania, esprimiamo piena vicinanza e solidarietà a tutte le studentesse e studenti che hanno il coraggio di portare avanti le loro idee e che continueranno ad esprimere la loro contrarietà alla guerra.
Le compagne e i compagni de “Le radici del sindacato”, alternativa in FLC CGIL – Catania
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