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Le recenti Olimpiadi hanno riacceso il dibattito sulla cittadinanza per i ragazzi stranieri: dallo ius soli allo ius scholae

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Le medaglie d’oro portate in Italia da ragazzi con background migratorio nel corso delle ultime olimpiadi di Parigi 2024, ha ricondotto alla ribalta il dibattuto tema sulla cittadinanza da riconoscere loro, sfruttando una delle tante possibilità presenti nel confronto parlamentare, a cominciare dalla Ius soli, lo ius scholae, lo ius culturae. Problematica che riguarderebbe oltre 870 mila gli studenti e studentesse con cittadinanza non italiana e che frequentano le nostre scuole, di cui quasi 7 su 10 sono nati in Italia: bambini e adolescenti “italiani” di fatto ma non di diritto.

Si attende infatti da anni ormai una legge che riconosca piena cittadinanza a questi ragazzi nati in Italia o che studiano in Italia e da qui dunque le varie proposte per riconoscerne il diritto.

A cominciare dallo “ius soli” attraverso cui si darebbe la cittadinanza Italina per il diritto di essere nati sul territorio dello stato, mentre attraverso il principio dello “ius sanguinis” verrebbe concessa per discendenza o filiazione. 

Più seguita invece a livello di proposta parlamentare lo “ius scholae” che legherebbe l’acquisizione della cittadinanza al compimento di un ciclo di studi. Questa legge, da quanto sappiamo, si è arenata alla Camera dal giugno 2022.

Diverso, invece, è lo “ius culturae”, che approvata dalla Camera nell’ottobre del 2015 è ancora ferma al Senato dal 2017. Esso prevedeva l’ottenimento della cittadinanza ai minori stranieri nati in Italia, o entrati entro il 12esimo anno di età, che abbiano “frequentato regolarmente per almeno cinque anni uno o più cicli presso istituti scolastici del sistema nazionale, o percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali”, conclusi con la promozione. 

Relativamente allo “Jus Scholae”, che in qualche modo ci riguarda più da vicino, possiamo aggiungere che si tratta di riconoscere la cittadinanza italiana a ragazzi cresciuti fianco a fianco con i nostri alunni, con cui hanno studiato la letteratura italiana, l’arte e la sua cultura. 

Come i nostri studenti conoscono la sintassi e la grammatica della lingua italiana, coi suoi risvolti. Sanno a memoria le loro stesse poesie, la stessa epica e con loro hanno pure studiato gli scrittori più importanti delle antologie. Parlano perfino lo stesso dialetto e con loro condividono sport e tempo libero, ma non sono italiani. 

Sembra una stramberia che però, a livello parlamentare e all’atto della approvazione della legge, che li renderebbe cittadini italiani, a suo tempo rischiò perfino la caduta del governo. 

Non “regaliamo” la cittadinanza, continuano a dire le destre. Ma non è una elargizione, è un dato di fatto perché quel titolo di “cittadino italiano” se lo sono conquistato, subendo le stesse verifiche dei loro compagni, svolgendo gli stessi elaborati, ricevendo gli stessi giudizi dagli stessi professori e pure le medesime reprimende dagli stessi dirigenti. 

Un regalo o un atto di giustizia dovuto a giovani che, come i loro coetanei, si preparano a vivere una comune futuro?