Le scuole italiane, chiuse per decreto dal 5 marzo fino ad un’improbabile riapertura per il 3 aprile (il Governo ha già lasciato trapelare l’intenzione di prolungare il periodo di chiusura fino a data da destinarsi), non hanno mai conosciuto e svolto una mole così elevata di attività didattica – la ormai celebre Didattica a Distanza (sigla DAD) – come in questo periodo funestato dall’infuriare senza sosta del Coronavirus.
Gli insegnanti di ogni ordine e grado, accogliendo le immediate, quotidianamente ripetute e a volte contraddittorie indicazioni provenienti dal Ministero e, a cascata, dagli Uffici Scolastici Regionali e dai Dirigenti Scolastici di ciascuna Istituzione Scolastica territoriale, sono quotidianamente impegnati in un lavoro che non conosce limiti di orario.
E’ un lavoro che si concretizza in video lezioni e conferenze, in preparazione ed assegnazioni di compiti on-line, spesso in interventi individualizzati e personalizzati a vantaggio degli alunni più svantaggiati, in un continuo rincorrere e sperimentazione e utilizzazione di varie piattaforme on-line messe generosamente a disposizione dalle Istituzioni o da organismi privati specializzati nella didattica, in un ininterrotto confronto (a volte vivacemente dialettico) tra colleghi di dipartimento, o di singolo consiglio di classe o del medesimo collegio dei docenti, mentre ora dopo ora piovono via mail, con obbligo di ricevuta e di presa visione, le circolari più o meno esplicative dei dirigenti scolastici, giustamente preoccupati che, anche se a distanza, non vi sia alcuna interruzione della “normale” attività didattica, dello svolgimento dei programmi, dell’attribuzione di un congruo numero di valutazioni (voti) in previsione di un ipotetico scrutinio di fine anno o dell’ammissione agli esami di Stato di terza media e di maturità.
Le conseguenze di tutto questo frenetico e incessante lavorio (sarebbe meglio dire: logorio) sono: a) un aumento incalcolabile delle ore dedicate all’attività lavorativa; b) una crescita dello stress psico-fisico tanto per i docenti quanto per gli studenti (soprattutto quelli più responsabili e diligenti), i quali si vedono caricati di un surplus di compiti da svolgere ed entro scadenze che, per alcuni docenti, sono da considerarsi improrogabili.
E tutto ciò mentre aumenta a dismisura l’angoscia collettiva, e in giorni nei quali non si capisce quando, e se, ci sarà il cosiddetto “picco” di diffusione della tremenda pandemia che si è abbattuta, come una implacabile punizione divina oppure un’imprevedibile vendetta della Natura, sull’umanità intera.
In quanto insegnante non posso non riconoscere che le angosce della mia categoria sono infinitamente inferiori a quelle dei medici, degli infermieri, del personale sanitario direttamente impegnato in prima linea; lo stesso discorso vale se riferito a quelle categorie sociali costrette, per motivi incontestabili, a fare a meno delle attività economiche che sono l’unica loro fonte di reddito familiare: esercizi commerciali, ristoratori, albergatori, agenzie di viaggio, ecc.
Tuttavia nessuno, di fronte alla gran mole di lavoro e incremento di responsabilità abbattutisi sulle loro spalle, deve poter pensare che questo periodo, per i docenti, rappresenti un’aggiunta di vacanze, un surplus di giorni, probabilmente di mesi, da addizionare ai famosi e infondati “tre mesi di ferie” che risuonano, come un mantra, nelle chiacchiere da bar di persone che hanno appena, seppure ce l’abbiano, una vaga e oscura idea del mondo scolastico.
Nonostante le preoccupazioni che ciascuno di noi nutre per la propria salute, per la salute dei propri familiari e dei parenti, soprattutto anziani, maggiormente esposti al contagio, l’opinione pubblica, le famiglie nelle quali sono presenti bambini e ragazzi in età scolare, devono sapere che gli insegnanti italiani, anche in questa situazione così difficile, non hanno assolutamente smesso di fare il loro dovere, quello cioè di assicurare a tutti gli alunni la continuità nell’esercizio del loro diritto ad apprendere e a migliorare le loro conoscenze e competenze, un diritto costituzionalmente garantito, un diritto che non viene meno anche in questa eccezionale ed epocale situazione nella quale siamo precipitati.
Le famiglie, inoltre, devono poter contare non soltanto sulle nostre competenze professionali, sul fatto cioè che noi trasmettiamo contenuti di istruzione che accrescono le conoscenze degli studenti, ma anche sulle nostre capacità psico-pedagogiche, quelle capacità che ci permettono di cogliere lo stato d’animo dei nostri alunni, le loro ansie e i loro smarrimenti, e di attuare di conseguenza strategie educative volte ad infondere coraggio, solidarietà, condivisione, a far nutrire loro, nonostante tutto, fiducia nel futuro.
Perché, sicuramente, anche questa bufera, così come tutte le tempeste e tutte le traversie che hanno funestato la storia dell’umanità, un giorno, speriamo non lontano, avrà termine.
Francesco Sirleto
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