Immaginate che un giorno, passando da una classe all’altra durante una normale giornata di insegnamento, vi imbattiate in un’aula alla quale non avevate mai fatto caso, sulla cui porta campeggia la scritta “Stanza della rabbia”.
Se sentite forti rumori e urla provenire dall’interno, non preoccupatevi, ci sarà dentro qualche ragazzo che sta cercando di scaricare la sua ira repressa.
Scherziamo? Sì, certo, almeno per il momento… Perché – come ci racconta il quotidiano Avvenire – le “stanze della rabbia” stanno diffondendosi sempre di più in Italia, da Nord a Sud del Paese. Questo fenomeno, ci dice l’autrice dell’articolo, nasce in Giappone nel 2008 con l’obiettivo di aiutare la gente, da sola o in compagnia, a sfogare la propria rabbia repressa. Come? Distruggendo a mani nude o con l’aiuto di mazze, martelli e strumenti vari tutto quello che nella stanza è appositamente collocato: piatti, bicchieri, televisori, computer, mobili e soprammobili.
A pagamento, s’intende! Pensate, esistono stanze della rabbia particolarmente concepite per i bambini, dove i più nervosetti possono divertirsi a distruggere orsacchiotti e bambole, giocattoli e tante altre cose. Uno scenario distopico degno di un episodio di Black Mirror? Di certo un po’ inquietante è, non nascondiamolo. Basta davvero un quarto d’ora all’interno di una stanza del genere spaccando tutto quanto è possibile e urlando a più non posso per ritrovare quell’attitudine zen che si era persa per strada?
Coltiviamo, a tal proposito, un sano scetticismo che condivide con maggiore autorevolezza il dottor Marco Scopel, psicologo e psicoterapeuta che a Verona ha fondato il centro clinico MetaLogica. Intervistato da Avvenire, il dottore ha invitato diffidare da strumenti come le stanze della rabbia, soprattutto se usate da adolescenti, molti dei quali avrebbero bisogno almeno di una stanza al giorno per sfogare le proprie ansie, paure, frustrazioni, dispiaceri. Al limite – continua lo psicologo – la stanza della rabbia potrebbe avere un valore se poi con l’adolescente si procedesse a un lavoro di rielaborazione della rabbia e delle emozioni provate, altrimenti restano fini a se stesse.
Insomma, servirebbero soltanto a trasformare la rabbia in violenza, il che sarebbe ancora più pericoloso.
E allora? Beh, i modi per disinnescare e canalizzare la rabbia, comprendendo le cause che l’hanno scatenata, ci sono e sono parecchi. Uno tra i tanti si può tentare di usarlo nelle nostre aule scolastiche, a livello “artigianale”, certo, perché la presenza di specialisti è fondamentale. Parliamo della scrittura:
La narrazione in forma scritta è uno strumento potentissimo – spiega sul suo sito web la psicologa e psicoterapeuta Adriana Serra – che permette di far defluire la rabbia da dentro la persona giù giù attraverso la penna fino a “imprigionarla” nel foglio bianco. Scrivere dà la possibilità di “svuotarsi” dalla rabbia: la carta diventa una sorta di contenitore della nostra emozione, uno spazio in cui riversare tutto ciò che ci sta facendo male.
Questo è utile soprattutto per imparare a frapporre uno spazio di riflessione tra la percezione dello stimolo doloroso che genera rabbia e la reazione allo stimolo percepito. In questo modo – conclude la dottoressa Serra – si può riuscire, col tempo, a modificare le proprie reazioni in modo che siano più funzionali, permettendo di gestire lo stimolo alla base della reazione rabbiosa nella maniera più utile.
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