Franco Fichera, già docente di diritto tributario in diverse università dal 2005 spiega ai bambini di quarta e quinta elementare a cosa servono le tasse, perchéè dannoso per tutti non pagarle, e perché possono essere «belle», le tesse.
«Tutto è cominciato – spiega il professor Fichera a Il Sole 24 Ore- quando l’assessore all’infanzia e alla famiglia del Comune di Roma, nel 2005, mi ha chiesto di andare a spiegare le tasse ai bambini. Non potendo fare una lezione universitaria, mi sono inventato un gioco».
Senza preannunciare nulla agli alunni, il professore distribuisce monete di cioccolato, in modo diseguale: cinque ad alcuni, dieci ad altri e ancora di più ad altri.
Poi, tra il centinaio di bambini che ogni volta partecipano, alcuni vengono indicati come “governo” e altri come “esattori”. E dovranno provvedere alle spese della comunità, tassando i compagni. «I bambini discutono sul livello delle “tasse”, sulla necessità di esentare i più “poveri”, su quanto far pagare ai “ricchi”».
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E concetti come l’equità, la solidarietà, la progressività diventano… elementari. «Aun bambino erano toccate cinque monete – racconta – e si voleva esentarlo. Ma lui si rabbuiò:così sarebbe rimasto escluso dal gioco. Perciò si decise un pagamento minimo di una moneta».
Alla fine della lezione, Fichera e gli insegnanti incontrano i genitori e svelano anche a loro cos’hanno imparato i loro figli quella mattina.
Ma al prof le tasse piacciono?
Questa la sua risposta: “Una volta, alla fine del mio «Gioco delle tasse» con una classe, una giornalista ha chiesto a una bambina il significato del gioco a cui aveva appena partecipato. Lei ha detto: «Se non ci fossero le tasse non ci sarebbe la mia città». Ecco, alla domanda se mi piacciono le tasse, risponderei: Sì! Mi piacciono perché non saprei come fare senza «la mia città».