Perché andare a scuola oggi? Cosa rende necessario ed interessante frequentare gli anni della scuola secondaria? Da una sintetica, nonché, sommativa analisi della questione a queste domande si potrebbe rispondere con una singola motivazione essenziale: la necessità di ottenere un titolo di studio qualificante per l’accesso al mondo del lavoro e/o dell’università.
Lo scollamento, ormai divenuto quasi totale nell’Italia del Sud, tra numero di diplomati e numero di collocati a tempo indeterminato, grazie al diploma, è la causa essenziale (insieme ad altre) della disaffezione allo studio ed alla vera formazione.
Numerose sono e sono state le cause che hanno determinato tale scollamento; cause da ricercare nel processo di evoluzione tecnologica che ha reindirizzato, di conseguenza, il trend evolutivo dell’economia globale. Molti mestieri e professioni tradizionali hanno gradualmente ceduto il passo a nuove figure professionali, molto spesso legate alle sempre più evolute conoscenze e competenze informatiche necessarie. Conoscenze e competenze che sembrano però appartenere ad una élite piuttosto ristretta di persone con specifiche attitudini.
L’utilizzo sempre più invasivo di tecnologie informatiche, che semplificano fino all’inverosimile le attività umane, lasciando molto più tempo per poter sviluppare altre attività sia lavorative che ludiche, ha cambiato il nostro approccio all’impegno e alla perseveranza quando ci troviamo di fronte a dei problemi da risolvere.
Oggi è diventato possibile e facile aggirare numerose tipologie di problemi proprio grazie alla tecnologia informatica e alle sue innumerevoli applicazioni.
Una comodità piacevolissima, ma che può diventare ingannevole. Anche i nostri ragazzi a scuola vivono gli effetti di questa estrema semplificazione operativa. Il non dover esercitare più di tanto le capacità rielaborative, grazie appunto alle numerose tecnologie (software ed hardware), spesso fa loro assumere un atteggiamento poco reattivo nei confronti del voler conoscere e comprendere e ciò viene letto come assenza di un vero bisogno formativo.
Attendono passivamente che la “Conoscenza” venga a loro, semplicemente presentata (o semplicemente fatta vedere) attraverso la ormai comune realtà virtuale, o meglio ancora realtà aumentata, all’interno di aule immersive nell’ottica galoppante del meta verso. Siamo proprio sicuri che tutto questo aggrovigliarsi di tecnologie sul percorso formativo dei nostri ragazzi produca in loro reali e durature competenze o c’è il rischio che possa renderli sempre più assuefatti, inerti e poco capaci di evolvere (almeno in tempi opportuni) una propria autonomia di pensiero ed una concreta capacità analitica e critica?
A mio avviso una dipendenza digitale deve essere evitata e l’uso delle tecnologie riqualificato nella sua reale valenza didattica. Certamente indietro con i tempi non si può andare. Gli sforzi formativi devono quindi essere orientati sul far crescere il bisogno formativo nei nostri studenti. Bisogna fare in modo che loro guardino a tutte queste tecnologie come a degli strumenti utili per risolvere i problemi che incontrano durante il loro processo formativo.
La semplificazione tecnologica non deve sostituirsi al processo evolutivo della coscienza critica che fa perno su un costante impegno nello studio e sulla costante volontà di riuscire. Per far questo è sufficiente che i postulati cognitivi disciplinari non vengano surclassati da nozioni “innovative” di qualsiasi tipo e di dubbia rilevanza.
In buona sostanza, e senza perderci in chiacchiere, se il ragazzo conosce e sa utilizzare adeguatamente i concetti delle singole discipline in modo anche critico e personale mi sta molto bene che abbia utilizzato tutta la tecnologia di questo mondo per riuscirci! Ma se questo obiettivo fallisce, tutte le tecnologie di questo mondo non servono a nulla.
In fondo il problema resta sempre quello: le competenze di base restano comunque importanti per la formazione delle più svariate figure professionali che servono alla nostra struttura sociale ed economica (medici, ingegneri, ricercatori, ecc.). Se non si riesce a far emergere decisamente il bisogno formativo nei nostri giovani la Scuola andrà sempre più a svolgere un ruolo formativo marginale e gli insegnanti quello di semplici “animatori” affannati nel districarsi tra un numero ossessivo di attività progettuali e sempre più alla rincorsa dell’ultima novità tecnologica divenendo, peraltro, sempre meno riconosciuti socialmente, perché poco produttivi in termini di formazione dei loro alunni.
Se la Scuola andrà in questa direzione finirà che non servirà più e non ci sarà più una reale convenienza ad andare a scuola. Io però sono convinto che la Scuola pubblica conserverà sempre il suo valore formativo sia in senso classico che moderno però è necessario prendere consapevolezza dei rischi a cui si va incontro. La strada da seguire è quella di rendere più consapevole lo studente del proprio percorso formativo attraverso la richiesta, da parte degli insegnanti, di un oggettivo sapere maturato.
Se questa presa di consapevolezza può comportare qualche rallentamento del percorso la cosa non deve essere vista come una sconfitta ma come una esperienza formativa, valida per la vita.
La Scuola deve soltanto fare bene il suo lavoro formativo, così come è stato detto, e deve preoccuparsi un po’ meno della propria “immagine” in quanto “ente valutatore”. La qualità della formazione offerta paga, certamente, anche in termini di preferenze da parte dell’utenza!
Giuseppe D’Angelo