La Lombardia ha da poco approvato una nuova legge che prevede lo stanziamento di 600.000 euro (quantificati a 1,8 milioni a regime) per l’inserimento di telecamere di sicurezza negli asili nido della Regione, per «tutelare i nostri bambini prevenendo i maltrattamenti» e a rendere «tutto più trasparente».
I dispositivi, secondo i promotori, dovrebbero anche «fungere da deterrente», scongiurando la nascita di comportamenti violenti da parte degli insegnanti verso gli alunni.
Ma per l’opposizione le telecamere sono solo una scelta demagogica, che non risolve affatto il problema, ma punta il dito nei confronti degli insegnanti: «La cosa più scandalosa è la più totale antiscientificità di questo dispositivo. Nessuno ha mostrato uno straccio di dati che parlino della dimensione del fenomeno o dell’utilità delle telecamere come deterrente», spiega un consigliere di opposizione a Linkiesta. «Si va nell’emotività più pura a colpi di cronaca, ma un provvedimento non può che partire da una valutazione del costo-beneficio».
In ogni caso una legge già esiste, ed è quella che prevede l’inserimento di telecamere nascoste da parte delle forze dell’ordine su ordine della magistratura in quei luoghi dove ci sia una denuncia di abuso. «Casi orribili come questo sono la prova che una legge che funziona c’è già. Se fossero avvenuti in un asilo dove l’insegnante sapeva che c’erano delle telecamere e dove erano posizionate, sarebbe stato più facile per lui sfogare la sua rabbia incontrollabile dove sapeva di non essere visto».
Lo stesso Garante per la privacy, in effetti, si è già espresso più volte condannando l’uso di telecamere negli asili. Questa la sua sentenza nel 2013: «Sistemi di controllo così intrusivi come le webcam devono essere usati con estrema cautela perché, oltre a incidere sulla libertà di insegnamento, possono ingenerare nel minore, fin dai primi anni di vita, la percezione che sia “normale” essere continuamente sorvegliati, come pure condizionare la spontaneità del rapporto con gli insegnanti. La tranquillità dei genitori non può essere raggiunta a scapito del libero sviluppo dei figli. Non possiamo, per placare le nostre ansie di adulti, trasformare la società in cui viviamo in un mondo di ipersorvegliati, a partire dai nostri bambini».
Per tanti osservatori delle cose della scuola invece, una via percorribile sarebbe quella usare meglio gli attuali strumenti, il tirocinio, che “non è valutativo, mentre se lo fosse sarebbe subito evidente se la persona non è adatta al ruolo, perché perde le staffe». Oppure «bisognerebbe inserire l’obbligo di test di controllo, valutazioni di stress che mostrano se la persona è vicina al burnout. Ci sono insegnanti che vanno da sole a farseli fare perché si sentono in difficoltà, ma ad oggi sono ancora opzionali».
Insomma, lavorare sull’idoneità psicologica e lavorativa delle maestre, mentre una parte non trascurabile del problema sono anche le condizioni lavorative «se le maestre fanno 38 ore a settimana per 1000 euro al mese, probabilmente si sta andando a raschiare sul fondo del barile in termini di dedizione alla professione».
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