Home Politica scolastica L’educazione alla legalità inizia coi classici e con l’efficienza dello Stato

L’educazione alla legalità inizia coi classici e con l’efficienza dello Stato

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“Educazione alla legalità”: è questo uno dei temi, fra le tante educazioni (come: sesso, droga, salute, stradale ecc.), da cui si vogliono riposte e che, con più frequenza, si richiede alla scuola di affrontare, perché da buoni insegnamenti e da buoni esempi nascono buoni cittadini. 

D’altra parte la scuola, essendo dell’obbligo fino a 16 anni, appare come una sorta di filtro attraverso cui l’intera popolazione passa e proprio in un periodo della vita in cui si va definendo con nettezza la personalità di ciascuno. Educare quindi ai sani principi del rispetto delle regole, e della Legge, oltre che compito primario della famiglia, è giustamente anche ruolo della scuola, che, insieme a filtrare, aggiustandoli, gli eventuali sbandamenti diffusi in particolari ambienti e condizioni sociali, è il primo Organismo “visibile e tangibile” che il cittadino ha con le Istituzioni e quindi con lo Stato.

Tuttavia, se dalla proclamazione dei principi si passa alla prassi, si vede come per lo più la scuola sia impreparata ad affrontare queste necessità. 

Moltissime scuole danno inoltre dello Stato purtroppo una immagine di disordine e di assoluta distanza dal cittadino, nel momento in cui sono carenti di quello strutture che danno il segno della disciplina e dell’efficienza: mancanza di parcheggi, aule umide, rincorrersi di supplenti durante l’anno, singhiozzo dell’acque e dei riscaldamenti, solai che cadono, ecc.  

Ma se si va più a fondo, si vede come il principio guida di questa “educazione alla legalità” ha piedi di argilla allorché lo Stato, attraverso i comportamenti dei suoi rappresentanti al Parlamento, appare rissoso, violento, arruffino. 

È infatti luogo comune dire: i politici sono tutti ladri, la politica è collusa con la mafia, e poi politici accusati di delitti che continuano la loro funzione di legislatori ecc. 

La battaglia per l’”educazione alla legalità” inizia, come si vede, già in svantaggio e per responsabilità proprio di quello Stato di cui la scuola è diretta emanazione e che si vorrebbe garantire. 

Andando ancora più in profondità, vorremmo dire come talvolta capiti persino che talune scuole organizzino incontri con magistrati, con vittime della mafia, con i taglieggiati del racket. È vero che al termine la scuola si sente un po’ più con la coscienza apposto e può ben dire di avere contribuito a un esito suspicato della battaglia contro la malavita, ma è vero in parte, perché quell’incontro è servito in qualche modo ad allontanare una interrogazione o una spiegazione, mentre non sempre raggiunge gli obiettivi sperati. 

Il nodo, crediamo, di una buona “educazione alla legalità” sia da ricercarsi nella risposta che uno dei più illustri intellettuali italiani diede a un docente che gli chiedeva appunto: che fare per i giovani? “I classici, collega! I classici!”, rispose. E perché?  Perché nei classici, l’interlocutore del docente voleva dire vivono tutte le espressioni più nobili dell’uomo, come la musica, la poesia, la filosofia, l’arte. Lì sta la legalità: nella conoscenza del pensiero di chi ha tracciato la “commozione” dell’uomo, ne ha sedotto le suggestioni, gli ha indicato le orme di una creazione ben più ampia. 

Diceva Piero Citati che per molti alunni la scuola è l’unica occasione e l’unico luogo, non per tanto conoscere discipline spesso noiose, ma per sentire parlare almeno di Dante, di Petrarca, di Goethe. E allora su questo bisognerebbe puntare e su tutte quelle arti che nella scuola non hanno mai convissuto. 

Quale esperienza notevole sarebbe, da una scuola professionale ad un liceo, dedicare alcune ore settimanali all’ascolto di Mozart o Wagner o Verdi; introdurre i ragazzi alla scoperta della drammaturgia scespiriana o a quella di Lope de Vega o Brecht? 

Forse per questo è auspicabile una vera riforma della istruzione italiana, la quale oltre che nuova e condivisa, sia di frattura col vecchio schema scolastico che ha spesso selezionato i suoi “clienti” in aree ben definite di istruzione, dove ai licei si contrapponevano i professionali, all’umanesimo le scienze, dimenticando invece che l’arte appartiene al mondo intero e tutti hanno il diritto di “saperla”.

Ecco perché, crediamo, lo Stato debba dare un ulteriore e forte segnale della sua presenza, e non solo nel varo di una rivisitazione complessiva della scuola, senza primogeniture e soprattutto condivisa, ma anche nel finanziare un aggiornamento serio e qualificante dei docenti che sono il perno di un cambiamento veramente reale.