Gli omicidi ormai quotidiani delle donne rappresentano una vera e propria emergenza sociale. Eppure, durante la recente campagna elettorale, nessun partito ha dato rilievo al problema e tanto meno ha fatto proposte per affrontarlo, gli ultimi femminicidi della mamma e delle bimbe di Latina gridassero vendetta al cielo e alla terra.
Ci si è ben guardati dal rischio di perdere i voti degli elettori più conservatori e maschilisti, di urtare la “sensibilità” di quelli che, per un motivo o per l’altro, fanno finta di niente, ritenendo che nulla possa cambiare o, peggio ancora, che le donne in fondo in fondo se lo meritino. Nel discorso di insediamento alla Camera e Senato appena avvenuto è mancata non solo la scuola.
Ancora una volta è stata taciuta la necessità morale di mettere in atto degli strumenti per prevenire la violenza contro le donne. Ma quale istituzione , se non la scuola può includere in maniera trasversale l’educazione alla parità e al rispetto?
Come donna, come madre e come insegnante sono convinta che sia necessario e urgente realizzare l’educazione alla parità di genere nelle scuole di ogni ordine e grado: l’emergenza sociale della violenza contro le donne è diventata un’emergenza educativa di fronte alla quale la scuola non può più tacere e far finta di nulla. Partire presto, fin dalla scuola dell’infanzia, se non dall’asilo nido, è necessario, visto che parecchi studi hanno dimostrato che gli stereotipi di genere si delineano e iniziano a sedimentarsi nei bambini fin dalla più tenera età. Dallo stereotipo al pregiudizio il passo è breve. Il fattore cognitivo, collegato alla necessità di semplificare la realtà categorizzando, conduce allo stereotipo.
Poi subentra il fattore valutativo attraverso il quale lo stereotipo si trasforma in pregiudizio, che assegna ad un gruppo determinate caratteristiche e può sfociare in comportamenti discriminatori e prevaricatori come il razzismo, il sessismo e l’omofobia. Bisogna riconoscere alla ministra Fedeli il merito e il coraggio di avere contrastato le forze più reazionarie e bigotte del nostro Paese, emanando il 27 ottobre dello scorso anno le Linee Guida Nazionali intitolate “Educare al rispetto: per la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione”. In questo documento si fa riferimento al condizionamento socio-culturale che ha caratterizzato i rapporti tra i sessi. Si mette in rilievo il persistere di rappresentazioni sociali che separano invece di unire uomini e donne, a discapito di queste ultime, e si sottolinea l’importante ruolo che la scuola deve avere nel decostruire gli stereotipi di genere.
Tutti i giorni la cronaca ci mostra fidanzati, mariti e compagni che ritengono di essere i possessori dei corpi femminili da cui non accettano di essere separati. Il delitto d’onore non c’è più dal 1981, eppure nel 2018 si continuano a sfregiare e a uccidere le donne. Dove la legge non è riuscita, sono fermamente convinta che possa riuscire l’educazione fin da piccoli. Gli stereotipi sessisti sono presenti ovunque: nelle fiabe, nella pubblicità, nei libri di testo, nel linguaggio stesso, dove il maschile è sempre prevalente sia nel lessico che nella grammatica. La forza inerte degli stereotipi tende a riproporre da una generazione all’altra l’idea dell’uomo forte e attivo e della donna debole e passiva. Qualcuno pensa che sia la famiglia a dover educare alla parità, ma io ritengo che sia anche e soprattutto l’istituzione scolastica a doversene far carico, fin dalla scuola dell’infanzia.
Quale educazione si può ricevere da una famiglia in cui è presente un padre maltrattante o una madre succube? In cui si continuano a regalare alle bimbe barbie sexyi e anoressiche e ai bambini giochi elettronici con battaglie e conquiste? La scuola può fare molto nell’abituare i bambini e le bambine a rispettarsi fin da piccoli e a smascherare quegli stereotipi che impediscono la crescita nella parità.
La maggioranza del personale scolastico è formata da insegnanti donne. Potremmo smuovere una montagna se solo volessimo. Ma anche le insegnanti sono spesso vittima del retaggio culturale secondo il quale “ è sempre stato così/ nulla può cambiare”. Eppure qualcosa sta cambiando. Come me, altre colleghe si stanno muovendo per iniziare quella che ritengo una grande rivoluzione silenziosa. Nella mia classe sto già applicando una “ prospettiva di genere” nella didattica delle discipline che insegno. A giorni metterò in atto un progetto promosso dal Dipartimento delle Pari Opportunità e finanziato dalla Commissione Europea per prevenire la violenza sulle donne fin dalla scuola dell’infanzia e primaria. Come me, ottanta insegnanti realizzeranno questo stesso progetto in tutte le regioni italiane. La scuola inizia a cambiare dunque.
Lentamente, a piccoli passi, ma inizia a partire con azioni concrete. L’educazione alla parità tra i sessi, alla prevenzione della violenza di genere deve entrare a far parte del Piano dell’Offerta Formativa di istituto e investire in maniera trasversale tutte le discipline, anche mediante la scelta oculata dei libri di testo, spesso impregnati di contenuti stereotipati dei ruoli maschili e femminili.
Fondamentale il coinvolgimento dei genitori nel pieno rispetto del patto educativo di corresponsabilità scuola-famiglia. Importantissima e altrettanto imprescindibile è la formazione sistematica degli insegnanti e delle insegnanti. Dunque, ben vengano e si diffondano i centri anti-violenza per aiutare le donne, ma anche in questo caso “prevenire” attraverso l’educazione nelle scuole di ogni ordine e grado è sempre meglio che intervenire post-facto. L’emergenza sociale del femminicidio e della violenza contro le donne richiama la coscienza morale e civica di tutti e di tutte a porvi rimedio.
Per questo motivo l’educazione al rispetto e alla parità di genere deve far breccia in classe, concretamente, costantemente, quotidianamente. Perché non bisogna mai dimenticare che i bambini e le bambine di oggi saranno gli uomini e le donne di domani.
Marinella Vella
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