Attualità

L’educazione civica nella realtà quotidiana: qualche esempio concreto

Alla scuola viene chiesto di occuparsi di tutto ciò che riguarda l’istruzione e, ormai da molto tempo, anche di tutto ciò che riguarda l’educazione, ma la scuola può farcela da sola?

L’introduzione dell’educazione civica come disciplina indipendente, seppur interdisciplinare, e con valutazione propria, ha attribuito in modo più esplicito alla scuola alcuni compiti che sono determinanti per la realizzazione di condizioni di civile convivenza e anche per la tutela dell’ambiente, come richiamato in diversi obiettivi dell’Agenda 2030. Ma come può la scuola determinare un cambiamento, quando intorno la realtà smentisce sistematicamente ciò che a scuola si tenta di insegnare?

Il ruolo della famiglia è fondamentale, quindi se non c’è un’azione educativa condivisa e coerente la sola scuola non può fare molto, ma oltre alla famiglia e alla scuola, l’educazione di bambini e adolescenti passa anche attraverso l’agire degli altri adulti e delle istituzioni.

Cosa può comunicare un ambiente degradato e maltrattato?

Secondo Paul Watzlawick non si può non comunicare (Pragmatics of Human Communication, 1967). A mio parere non si può neanche non educare. Ogni esperienza che vive un bambino o un adolescente produce risultati da un punto di vista educativo, ma a volte questi risultati possono essere davvero poco auspicabili.

Potremmo raccontare dei depositi di immondizia lungo le strade o dei rifiuti abbandonati terra in tanti, peraltro meravigliosi, luoghi del sud Italia, ma per evitare di consolidare luoghi comuni sul sud degradato e il nord virtuoso, proviamo a raccontare di altri luoghi: un quartiere con un buon mix sociale, di una città del nord, Torino, di cui si parla come esempio virtuoso, ma con molte ombre.

A titolo d’esempio immaginiamo un ragazzino che vive in una zona a nord-est di Torino.

Quando esce di casa vede un’area verde, che fino ad un anno fa era un bosco e adesso è un luogo desolato. Dove prima si vedeva un fitto bosco ora si vedono i muri di cemento dell’officina dalla parte opposta del terreno. In una serie di incontri rivolti alla co-progettazione con i cittadini del quartiere, questi ultimi avevano sottolineato l’importanza di conservare il più possibile il patrimonio arboreo esistente ed una prima ispezione aveva già classificato molte decine di piante da conservare, in attesa di entrare nel centro del terreno per classificarne altre, ma alla partenza dei lavori i cittadini vedono abbattere quasi tutte le piante. Il bosco sparisce ed iniziano i lavori per la realizzazione di un giardino che, a distanza di un anno, è ancora molto lontano dalla conclusione, perché i lavori procedono per alcuni giorni, ma poi si fermano per mesi.

Poco lontano trova un supermercato e un enorme edificio dove, fino a pochi mesi prima, c’erano due bellissimi prati. Gli appelli a fermare il consumo di suolo rimangono inascoltati.

A breve distanza un prato esiste ancora all’uscita da un bar-tabacchi, ma gli avventori gettano ogni genere di immondizia nel prato, comprese le confezioni in plastica dei pacchetti di sigarette. Ogni appello all’assessorato ad intervenire per porre rimedio a questa situazione viene ignorato. Così come viene ignorata la richiesta di fare qualcosa per evitare che le auto parcheggino sul marciapiede, impedendo a persone con disabilità in sedia a rotelle e ai pedoni di passare.

Se poi vuole andare a fare una passeggiata verso il comune limitrofo, scopre che un’isola tra un canale e il fiume Po, che era una riserva integrale, è diventata terreno da allevamento. Anche in questo caso un bosco, in un’isola dove tra l’altro nidificano gli aironi, è stato abbattuto. L’ente parco sostiene che fosse necessario eliminare gli alberi a rischio di caduta e quelli non autoctoni e definiscono riqualificazione ambientale la sostituzione di un bosco con una radura, ma il risultato è molto simile, in piccolo, a quello che succede in Amazzonia o in Indonesia: al posto del bosco un terreno completamente rasato e riconvertito all’allevamento.

In diversi paesi europei ci si propone di piantare boschi urbani per ridurre l’inquinamento e da noi li tagliamo!

Anche il PNRR prevede il miglioramento della qualità dell’aria anche attraverso lo sviluppo del verde urbano.

La Pianura Padana è la zona più inquinata d’Europa e spesso Torino risulta essere una delle città più inquinate. Pare che l’inquinamento atmosferico a Torino provochi 900 morti all’anno e riduca la speranza di vita dei cittadini di 22,4 mesi. Ma si abbattono boschi e si cementificano prati senza limiti a Torino e dintorni.

Se poi il nostro ragazzino volesse farsi un giro in bicicletta avrebbe a disposizione un bellissimo percorso che costeggia il fiume Po, ma se volesse andare a scuola non troverebbe nessuna pista ciclabile che gli consenta di farlo in sicurezza. Quindi deve essere accompagnato in auto da un genitore, il quale poi si reca al lavoro in auto, insieme a centinaia di migliaia di altre persone su auto che riempiono le strade di traffico e l’aria di gas serra cancerogeni.

Quale educazione civica e quale educazione ambientale producono realtà di questo tipo?

Di fronte ad istituzioni inadempienti o che agiscono esplicitamente in contrasto con i principi di tutela dell’ambiente il nostro ragazzino potrebbe chiedersi:

“Ma in che mondo vivono i miei insegnanti? Parlano di cose che non esistono!”

Inutile chiedere alla scuola di educare alla sostenibilità quando tutto intorno la realtà è terribilmente insostenibile.

Ogni adulto si chieda cosa fare per adottare comportamenti sostenibili, che possano essere un modello virtuoso, e cosa fare per influenzare le istituzioni verso scelte di tutela dell’ambiente naturale.

Le azioni insegnano più delle parole.

Chi ascolta dimentica, chi vede ricorda, chi fa impara.

Claudio Berretta

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