I lettori ci scrivono

L’educazione musicale scompare nel Liceo made in Italy

Qualche anno fa scrissi alcune mie considerazioni riguardo la sorte e il trattamento della musica all’interno delle nostre istituzioni scolastiche.

Ora, in questi giorni, dopo aver letto e riflettuto sulla ufficiosa nascita del Liceo Made in Italy, ulteriori, continui e frustranti pensieri affollano la mia mente.

Nel previsto curricolo del nuovo liceo, che andrà a sostituire il corrente Les, non vi è traccia alcuna dell’insegnamento della disciplina musicale.

Personalmente la ritengo una dimostrazione di superficialità da parte di quelle autorevoli figure che operano sulla formazione dei nostri ragazzi. Mi piacerebbe capire se all’interno dei vari teams istituiti ad hoc, con l’obiettivo di costruire una preparazione sempre più innovativa e utile al domani dei nostri studenti, ci sia stata una figura che conoscesse quel valore aggiunto che la musica apporterebbe a tutti quegli studenti che transitano nelle scuole di II grado.

È proprio in questo loro momento di crescita che si manifestano i più disparati problemi legati soprattutto alla scoperta del sé. Quasi ogni scuola, oggigiorno, offre lo sportello di ascolto supportato dalla psicologa scolastica e dallo psicologo scolastico. E mi pare di vedere e capire che proprio loro in questo ultimo decennio abbiano incrementato i loro interventi di aiuto.

Eccomi al dunque.

LA MUSICA AVREBBE TANTO DA DARE.

Offrirebbe agli studenti una maggiore fiducia in se stessi e una costruttiva voglia di reagire e far fronte alle varie dinamiche scolastiche (senza dover ricorrere alla violenza fisica o verbale).

Studiare musica al II grado significherebbe proseguire un discorso cominciato alle scuole medie, approfondire i diversi linguaggi, le svariate scuole di composizione, i numerosi canali di pensiero, i generi e gli stili che, attraverso i secoli hanno tanto contribuito alla musica italiana, portandola spesso ad essere considerata la culla della produttività.

Inoltre, studiare musica significa partecipare alle attività, corali e strumentali, singole o cameristiche. Significa soprattutto prendere atto delle proprie capacità e dei propri limiti senza drammi alcuni, vedere la vita con occhi diversi, affinare il senso del rispetto e della tolleranza verso il prossimo, significa sentirsi parte di un gruppo, senza solisti o primedonne.

Fare musica significa imparare ad apprezzare maggiormente anche quelle discipline considerate ostiche, perché cambierebbe quasi con certezza l’approccio verso di esse. Il valore del sacrificio e dello sforzo personale sviluppatisi attraverso lo studio della musica, pratica e teorica, porterebbe la studentessa e lo studente alla ricerca del bello, dell’armonia delle cose, del perfezionamento continuo, del sapere e della conoscenza quali motori del proprio essere. Studiare per essere e divenire, e non solo per ottenere il bel voto in pagella, ritenuto ora più che mai garanzia di successo.

La musica, come nell’antichità, dovrebbe ritornare ai piani alti, nei gironi di serie A dell’educazione e della formazione scolastica.

È ora di smetterla di organizzare eventi, simposi, conferenze dove si discute dell’importanza della musica quale tassello importante della formazione per poi lasciare l’ultima decisione all’autonomia delle scuole.

Progetti e progettini scolastici si attuano grazie al potere di chi vuol garantire l’appoggio organizzativo ed economico necessario: e dove ciò non è possibile?

Le scuole private di musica hanno un costo (che tutti non si possono permettere) e un percorso presso un Liceo musicale o un Conservatorio di musica potrebbe sembrare per le famiglie un passo troppo ambizioso ed impegnativo.

Motivi in più per consegnare alla disciplina musicale la sua dignità all’interno di tutti gli istituti di II grado e trasformarla in OBBLIGATORIA e CURRICOLARE per tutti gli studenti, nessuno escluso.

Cari politici e autorevoli studiosi, è ora di darsi da fare seriamente.

Grazie dell’attenzione.

Francesca Perotti

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