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Lega, focus sul programma per la scuola: tante critiche, poche soluzioni

Recentemente Matteo Salvini ha più volte fatto riferimento al programma per la scuola della Lega. Le proposte sono diverse e toccano numerose tematiche che sono state al centro della legge 107/2015 “Buona Scuola”, prima, e della campagna elettorale, poi. Cerchiamo qui di analizzare alcuni dei punti del programma, concentrandoci sulle proposte rivolte alla figura professionale del docente.

Mobilità: un problema complicato

Tra le numerose critiche che la legge 107/2015 ha ricevuto, quelle riguardo alla mobilità degli insegnanti sono state particolarmente aspre. In seguito all’introduzione del maxi-concorso su base nazionale e all’utilizzo di un algoritmo per la distribuzione dei docenti su tutto il territorio, un numero elevato di insegnanti ha dovuto spostarsi (soprattutto dal Sud al Nord) lontano dalle proprie famiglie e dal luogo di residenza. Sperimentando una rottura nella continuità non solo didattica, ma anche affettiva.

Da nostre rielaborazioni sui dati di un recente report di Banca d’Italia, sarebbero circa 15 mila i docenti le cui preferenze di mobilità geografica non sono state accontentate dal piano di assunzione straordinaria del 2015. Sebbene il piano di mobilità straordinaria, attuato nel 2016, abbia permesso a molti di rientrare, il tema è rimasto al centro della campagna elettorale.

La mancanza di docenti al Nord e di cattedre al Sud, infatti, è un problema persistente e che probabilmente sussisterà nei prossimi anni. Chiunque sia al governo deve quindi assumersi il compito di proporre strategie che sì aumentino i posti di lavoro o ridimensionino il numero di aspiranti docenti, ma anche che riconsiderino il ruolo della mobilità geografica nelle carriere lavorative dei docenti.

Sotto questi aspetti, mentre il Partito Democratico ha suggerito l’introduzione sistematica del tempo pieno al sud per aumentare i posti, il programma della Lega risulta scarno e contraddittorio. Dal ritorno ai concorsi su base regionale all’introduzione del maestro-professore prevalente, le loro proposte rischierebbero di inasprire il problema, invece che fornire una soluzione praticamente e politicamente perseguibile.

L’introduzione del maestro-professore prevalente prevede, all’interno di un progetto più ampio di riordino dei cicli, che un solo docente segua gli studenti dalle elementari alle medie e insegni loro la maggior parte delle materie. , oltre ad essere difficilmente attuabile di per sé – i processi di formazione e selezione degli insegnanti delle elementari e dei professori delle medie sono diversi – ridurrebbe drasticamente i posti di lavoro per docenti.

I concorsi su base regionale, invece, permetterebbero sì di evitare spostamenti interregionali involontari, ma rischierebbero anche di aumentare il precariato sia nelle regioni con mancanza di posti dal momento in cui numerosi aspiranti docenti di ruolo rimarrebbero senza cattedra, sia nelle regioni con mancanza di docenti dove le cattedre sarebbero assegnate a supplenti.

Una proposta alternativa potrebbe prevedere un sistema simile a quello utilizzato per l’ingresso alle specializzazioni mediche: il sistema prevedrebbe la creazione di una graduatoria, richiederebbe ai candidati al concorso di esprimere le proprie preferenze geografiche e distribuirebbe i vincitori sul territorio in base alla graduatoria e alle preferenze indicate. Coloro che si trovassero in fondo alla graduatoria verrebbero assegnati ai posti vacanti rimanenti su base nazionale. La selezione dei criteri per costruire la graduatoria sarebbe di fondamentale importanza: infatti, per evitare processi di selezione negativa (tutti i candidati in fondo alla graduatoria nelle regioni con più posti vacanti) sarebbe necessario considerare altre caratteristiche, oltre al merito.

Quali che siano le proposte, se non è possibile ridurre il numero di aspiranti docenti o aumentare i posti vacanti, una redistribuzione sul territorio sarà inevitabile. Per ridurre i costi diretti e indiretti dei trasferimenti, quindi, i programmi dei partiti dovrebbero prevedere l’introduzione di supporti finanziari. A questo proposito, la Lega ha proposto un aumento dei salari dei docenti, anche per far fronte a spese di alloggio e rientri. Un incremento salariale, tuttavia, sebbene auspicabile, riguarderebbe tutto il personale scolastico, riproducendo così le differenze tra docenti “mobili” e non. Sarebbe quindi necessario pensare a misure più specifiche di supporto alla mobilità, come l’introduzione di un bonus monetario utilizzabile per coprire spese di viaggi e alloggio. L’entità del bonus potrebbe variare lungo una serie di possibili dimensioni, dalla distanza luogo di lavoro-luogo di residenza, al costo della vita nel luogo di lavoro, alla composizione famigliare.

Abolizione della chiamata diretta

Altre proposte leghiste, inserite nel programma e riguardanti i docenti, rappresentano un evidente passo indietro rispetto alla Buona Scuola. Sono previsti ad esempio l’abolizione della chiamata diretta, vale a dire del meccanismo per cui il dirigente scolastico può scegliere una piccola quota di insegnanti per il cosiddetto organico di potenziamento. Una novità che tanto clamore provocò nel 2015 ma che nella pratica è stata progressivamente depotenziata man mano

Altro punto del programma di Salvini per la scuola è l’abolizione del tetto di 36 mesi continuativi di precariato per gli insegnanti. Una norma derivata dalla sentenza della Corte di Giustizia europea che nel 2014 ha condannato l’Italia per aver reiterato i contratti a tempo determinato dei dipendenti pubblici oltre i tre anni.

La ratio della proposta leghista non è comprensibile: se da una parte limita la possibilità dei presidi di chiamare direttamente gli insegnanti, aumentando il potere contrattuale degli insegnanti, dall’altra rischia di acutizzare la voragine del precariato. La norma contenuta nella Buona Scuola, che vieta i contratti precari oltre i 36 mesi di insegnamento, non prevede esplicitamente la stabilizzazione dei precari, ma di certo la incentiva. ultimi anni sono state decine di migliaia le stabilizzazioni, proprio per evitare la pioggia di ricorsi che la sentenza avrebbe aperto. Un rischio probabilmente ancora attuale, se il programma leghista venisse attuato.

L’autonomia fa bene (o no?)

Secondo la tradizione federalista, Salvini propone anche una maggiore autonomia delle regioni nella gestione del sistema scolastico. Un sistema oggi fortemente centralizzato, che non delega nulla alle regioni. Vi sono tuttavia dei casi di autonomia regionale, come nel caso delle autonomie speciali. Due casi su tutti: la provincia autonoma di Trento e la regione Sicilia, entrambe – da statuto regionale – con competenza esclusiva sul sistema scolastico. Eppure, i risultati di apprendimento appaiono assai discordanti: secondo i risultati del test Ocse Pisa 2012 il Trentino è una delle aree in cui gli studenti hanno le migliori competenze in matematica, in lettura e scienze, mentre la regione Sicilia è tra le peggiori.

Anche su un altro fronte, quello della dispersione scolastica, la Sicilia è la peggiore regione in Italia per il tasso di abbandono durante la scuola media. Certo ha poco significato comparare regioni e territori tanto diversi, ma la Sicilia non ne esce meglio se comparata con le regioni limitrofe del Sud Italia: nel caso migliore, si trova in linea con la media del Meridione. Risultati, questi, che consiglierebbero prudenza a rendere regionale la competenza sul sistema scolastico: l’autonomia funziona se rende le regioni soggette a un regime competitivo, in modo da sfruttare la mobilità gli individui a recarsi dove il servizio è migliore. Una condizione non possibile durante la scuola dell’obbligo, quando la mobilità degli studenti è minima.

La Lega sarà probabilmente uno degli attori protagonisti del prossimo governo. Non sappiamo ancora se con il Movimento 5 Stelle, o con altri partiti, né chi siederà sulla poltrona più alta del Ministero dell’Istruzione. Nel loro programma, diverse proposte si rivolgono agli insegnanti, attori centrali nel sistema scolastico italiano, il cui ruolo viene troppo spesso sottovalutato. Tra alcune contraddizioni e altre proposte coraggiose, tuttavia, una sola via è chiara: stop alla “Buona Scuola”.

Manca ancora una direzione altrettanto chiara e coerente che possa superare le carenze della legge 107. Una volta patrimonio elettorale della sinistra e oggi divisa tra Lega e Movimento 5 Stelle, la scuola italiana ha bisogno oggi di proposte che vadano oltre le sole critiche, considerando sì gli interessi degli elettori, ma anche i problemi correnti e la loro evoluzione nel tempo.

di Tortuga*

*Tortuga è un think-tank di studenti di economia nato nel 2015. Attualmente conta 32 membri, sparsi tra Milano, Trento, Amsterdam, Barcellona, Berlino, Francoforte e gli Stati Uniti. Scrive articoli su temi di economia, politica e riforme, ed offre alle istituzioni un supporto professionale alle loro attività di ricerca o policy-making”

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