Legano la docente con lo scotch e la prendono a calci. Intera classe sospesa per un mese
Incredibile episodio accaduto in un istituto superiore di Alessandria.
Secondo quanto riporta La Stampa, una docente, presa di mira perché fragile fisicamente, fatica a camminare e a difendersi, è stato immobilizzata dai propri alunni alla sedia. Poi gli stessi ragazzi hanno cominciato a prendere a calci la sedia.
L’episodio di bullismo è stato registrato e rilanciato su Instagram, come vanto.
La docente è stata salvata da un alunno di un’altra classe che, accortosi di quello che stava accadendo, ha chiamato il bidello, che poi ha liberato l’insegnante, spaventata.
Il Consiglio di istituto ha deciso per un mese di sospensione per tutta la classe (ma con obbligo di frequenza) trasformato in lavori socialmente utili: i ragazzi andranno nelle altre classi dell’istituto e dovranno svuotare i cestini.
Alcuni docenti, però, reputano la punizione “troppo lieve” per quanto accaduto.
“Il problema è il messaggio che diamo agli altri studenti – spiega un docente -. Non credo sia quello di un senso della giustizia”.
La riflessione di Rino Di Meglio
Quasi non si contano più i casi di cronaca che ogni settimana vedono insegnanti essere picchiati o aggrediti da alunni e genitori. La situazione sta diventando effettivamente insostenibile e bisogna seriamente riflettere per riuscire a debellare questo clima di violenza che si è creato a scuola, attorno ai docenti.
Una riflessione interessante sul tema arriva da Rino Di Meglio, il coordinatore nazionale del sindacato Gilda degli Insegnanti, che sul proprio profilo Facebook si sofferma, secondo la normativa, sulle azioni violente compiute da un alunno nei confronti dei propri insegnanti.
Il dirigente scolastico è responsabile
Di Meglio, nel caso di aggressioni nei confronti dei docenti, spiega che in tali casi “è opportuno che il docente scriva immediatamente al Dirigente scolastico, chiedendogli di garantire la propria incolumità fisica e quella degli altri alunni: il Dirigente scolastico, nella scuola autonoma, ha infatti responsabilità precise, rappresentando, come previsto dalle vigenti norme, la figura del ‘datore di lavoro’.
A sostegno di ciò, Di Meglio chiama in causa il Codice Civile, l’art. 2087: “L’imprenditore è tenuto ad adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Ne consegue che il datore di lavoro, deve perciò garantire l’adozione di tutti i sistemi in possesso della tecnica atti a prevenire e proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori nonché a salvaguardare la personalità morale degli stessi.
Inoltre, “la giurisprudenza è orientata a riconoscere inadempiente agli obblighi in materia di igiene e sicurezza del lavoro il datore di lavoro che, pur avendo osservato tutte le specifiche disposizioni in merito, non sia riuscito a tutelare idoneamente l’integrità fisica dei lavoratori”, sottolinea ancora il Coordinatore della Gilda, che tira nuovamente in ballo il codice civile, secondo cui all’art. 1176 c.c., il datore di lavoro deve comportarsi con la diligenza necessaria, così espressa: “Nell’adempimento dell’obbligo inerente all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.
Quindi, in poche parole, un ruolo chiave, come si può ben immaginare, viene giocato dal dirigente scolastico, che ha una responsabilità complessiva nei confronti della struttura, dei lavoratori e degli studenti, chiaramente limitata alla normativa.
Cosa prevede il Codice Penale
L’art. 357 del Codice Penale dispone che “agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali, coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa“.
Agli stessi effetti, come disposto dal secondo comma dell’art. 357 novellato dalla l. n. 86/90 e successivamente modificato dalla l. n. 181/92, “è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi“.
Dalla lettura della norma, pertanto, si evince che la qualifica di pubblico ufficiale va attribuita a tutti quei soggetti che “concorrono a formare la volontà di una pubblica amministrazione; coloro che sono muniti di poteri: decisionali; di certificazione; di attestazione di coazione” (Cass. Pen. n. 148796/81); “di collaborazione anche saltuaria” (Cass. Pen. n. 166013/84).
L’articolo 358 c.p., a propria volta, dispone che “sono incaricati di pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. Per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni d’ordine e della prestazione di opera meramente materiale”.
Secondo la dottrina prevalente per incaricato di pubblico servizio dovrebbe intendersi un soggetto che pur svolgendo un’attività pertinente allo Stato o ad un altro Ente pubblico non è dotato dei poteri tipici del pubblico ufficiale e, d’altra parte, non svolge funzioni meramente materiali.
Tipologie di pubblici ufficiali
La qualità di pubblico ufficiale è stata riconosciuta nel tempo a diversi soggetti.
A titolo esemplificativo sono considerati pacificamente pubblici ufficiali: i consulenti tecnici, i periti d’ufficio, gli ufficiali giudiziari e i curatori fallimentari, quali ausiliari del giudice (Cass. Pen. 16.6.1983; 11.5.1969); i portalettere e i fattorini postali (Cass. n. 5.10.1982); gli ispettori e gli ufficiali sanitari; i notai; il sindaco quale ufficiale del governo; i consiglieri comunali (Cass. n. 18.11.1974); gli appartenenti alle forze di polizia e armate; i vigili del fuoco e urbani; i magistrati nell’esercizio delle loro funzioni (ecc.).
Anche gli insegnanti delle scuole pubbliche lo sono, così come ha ribadito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15367/2014, che ha ribadito la qualità di pubblico ufficiale per l’insegnante di scuola media nell’esercizio delle sue funzioni non circoscritto alla tenuta delle lezioni, ma esteso “alle connesse attività preparatorie, contestuali e successive, ivi compresi gli incontri dei genitori degli allievi” riconoscendo tutti gli elementi del reato di oltraggio a pubblico ufficiale a carico di un genitore.